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San Paolo, chiesa con tanta storia

L’incendio del 1895 e le vetrate di Umberto Buscioni. Il racconto di don Favillini.

Poche altre chiese testimoniano in modo così evidente come San Paolo la stratificazione della storia. La facciata della chiesa, illustre campione di architettura gotica, è coreografia di un interno a navata unica, segnato da interventi che si sono succeduti nel tempo e certamente anche dal grande incendio, avvenuto la notte di Natale del 1895, che alterò inesorabilmente una struttura portatrice fino a quel momento di una storia pressoché millenaria.

Oggi, l’aspetto di San Paolo beneficia di un accorto intervento di restauro, che ha riportato a nuova vita sia il fronte sia l’interno dell’edificio, dove sono state da poco installate quattro vetrate dell’artista pistoiese Umberto Buscioni. Esse raffigurano i quattro momenti del giorno e vanno ad aggiungersi a La caduta di San Paolo, monofora posta alle spalle dell’altare maggiore e inaugurata nel 1991. Ma la struttura ha conosciuto negli ultimi anni molti oculate azioni di recupero, in cui, certamente, tanta parte ha avuto l’impegno del parroco Don Giordano Favillini: nominato 23 anni fa, quando la chiesa versava in condizioni più critiche rispetto alle attuali, ha dato vita a una comunità religiosa tra le più attive della zona. «Si tratta – spiega – di una presenza di fede significativa per la città: nella cappella dell’Adorazione Eucaristica Perpetua, posta proprio a fianco della Chiesa, si prega giorno e notte».

Chiesa di san paolo

Le origini della struttura, riconducibile all’inizio del XII secolo, sono percettibili nella parte absidale, mentre la facciata e il lato destro, che si affaccia su via del Can Bianco, hanno carattere gotico. La chiesa fu ingrandita nel Trecento, e l’edificio originario, da cui si accedeva da quello che oggi è il retro, divenne l’attuale abside. «Certamente – osserva Don Favillini – la parte più notevole è la facciata, su cui spicca un portale molto bello ed innovativo». Il portale, cuspidato e in marmo bianco, ha al centro la figura del Santo. Ma anche la sagrestia racchiude opere di rilievo, recuperate non troppo tempo fa: «Oggi è nuovamente visibile – continua il parroco – il crocifisso del 1300, anch’esso danneggiato nel celebre incendio. Questo avvenimento provocò la perdita quasi totale delle tracce dell’antica chiesa: San Paolo riaprì all’alba del ventesimo secolo, ma molti arredi sacri, opere e testimonianze del passato non furono mai recuperate». Alcuni preziosi affreschi trecenteschi, invece, sono stati ripristinati poco meno di vent’anni fa: si tratta di elementi appartenenti a un ciclo comprendente la Crocifissione, la Presentazione di Gesù al Tempio e una Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli Angeli.

La navata centrale fu interessata da rifacimenti importanti, che ne hanno contrassegnato l’aspetto. «Prima dell’incendio – specifica Favillini – ebbero luogo due ristrutturazioni: la prima nel Seicento, apportatrice di contaminazioni barocche; la seconda nell’Ottocento, che invece tentò di riportare a galla il gotico originale». Al primo intervento risalgono l’altare maggiore e i due laterali. Anche le opere custodite nella navata appartengono a epoche differenti: accanto all’affresco di fine Trecento della Madonna dell’Umiltà si possono ammirare i cinquecenteschi Sacra Conversazione di Fra’Paolino, in cui San Pietro martire cela l’immagine del Savonarola, e Sant’Agata e Sant’Eulalia di Gerino Gerini.

Intervista a Umberto Buscioni

«La mia idea di spiritualità»

Quattro nuove monofore del grande pittore concittadino aggiunte alle vetrate della Basilica di San Paolo.

Alla vetrata raffigurante “La caduta di San Paolo” si sono recentemente aggiunte quattro monofore, anch’esse opera di Buscioni. Ognuna di queste, legata ad un fiore proprio dell’iconografia dell’Immacolata Concezione (rosa per l’alba, aquilegia per il giorno, giglio per il pomeriggio ed iris per la notte), restituisce un’immagine serena e leggera.

Questo suo ultimo lavoro riprende un discorso per certi aspetti rivoluzionario, a lei caro da alcuni anni. Cosa pensa della volontà, sempre più frequente, di accostare l’arte contemporanea ad ambienti appartenenti al passato?

In fondo molte chiese e grandi opere sono frutto di varie stratificazioni: l’importante è non turbarne l’assetto complessivo. Penso cioè che abbia poco senso rievocare lo stile medievale o antico, poiché un lavoro può essere moderno e al contempo non infastidire l’equilibrio del luogo.

I contorni delle figure, disegnati con il piombo, sono tipici di molte sue opere, ma, rispetto a “La Caduta”, queste nuove vetrate risultano ancora più lontane dalla cupezza di una certa iconografia cattolica.

Non ho voluto appesantire l’insieme perché volevo comunicare l’idea di una spiritualità serena. Così ho evitato, ad esempio, l’uso dei doppi vetri preferendo un risultato più trasparente, che mi ha permesso da un lato di rispettare la natura del vetro, dall’altro di conferire all’edificio un senso di apertura all’esterno. Un effetto che non si ha nelle vetrate spesse, parcellizzate e un po’ tenebrose, di matrice medievale.

I colori rimandano alla pittura novecentesca, ma nel complesso è forte la componente religiosa. La verticalità per lei ha un particolare significato?

Lo scopo principale di questo lavoro è tentare di legare la terra al cielo e per farlo ho utilizzato dei fiori tradizionalmente ritenuti mistici. Dal basso di ogni vetrata, cioè dalla terra, lo sguardo è spinto subito verso l’alto: certamente questo innalzamento è tutt’uno con la mia idea di spiritualità. Ogni tavola è poi quasi monocroma, fatta eccezione per quella raffigurante la notte, che contiene un maggior numero di colori. Qui il disegno termina con una fiamma, che simboleggia lo spirito che veglia su di noi anche nell’oscurità.

TESTI

Giulia Gonfiantini

FOTO

Fabrizio Antonelli

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