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Solenne semplicità

In gran parte ignorato dalla critica interpretava con raffinata poesia la lezione dei primitivi italiani.

Durante un convegno dedicato, anni or sono, al regista Mauro Bolognini, lo storico dell’arte Raffaele Monti, accennando alla straordinaria fioritura di personalità artistiche pistoiesi, indicava Pietro Bugiani (Pistoia 1905-1992) come «uno dei più raffinati pittori del nostro Novecento, naturalmente quasi sconosciuto dalla critica». Nell’ampia Mostra del Novecento Italiano (Milano,1983) fondamentale ricognizione del periodo 1923-1933, tra le numerose presenze di primo, secondo e terzo piano, Bugiani, infatti, era ignorato anche nella rappresentanza toscana, nonostante avesse partecipato con due opere esemplari, nel 1929, alla II Mostra del Novecento a Milano.

Un paio di anni dopo a Berlino, ancora per poco «vitalissima e maledetta» capitale culturale europea, Bugiani ottenne il maggior successo tra gli artisti del Toskanische Kunstlergruppe “L’Arco” che esponevano alla galleria Porza. Un singolare destino per un artista che, appena diciannovenne, secondo Giovanni Costetti non aveva uguali tra i coetanei italiani, capace di guadagnarsi la stima di Casorati, Rosai, Bernasconi, fino a quella intenzionalmente taciuta di maestri come Carrà, o non priva di degnazione e preclusioni di un Soffici, intransigente nella propria accezione naturalistica del rappel à l’ordre.

Del resto un confronto privo di pregiudizi tra due affreschi coevi, Contadina di Soffici e L’attesa di Bugiani (1932), dimostra come il pittore pistoiese avesse compreso, al pari del più anziano maestro, la lezione di Masaccio e del Quattrocento toscano, traducendole in una forma di solenne semplicità.

Ma in quel tempo Bugiani aveva già concluso un ciclo aureo di dipinti iniziato nel 1923 con Il querciolo e Panni al sole, dove l’esempio di Cézanne e di Fattori, come dei pistoiesi Caligiani e Nannini, lo avrebbero portato nel giro di pochi anni a definire una dimensione di serenità, di quiete e di silenzio nella sospensione spaziale del tempo.

Lo studio degli antichi maestri – i cosiddetti «primitivi» nell’accezione di Lionello Venturi – da Gherardo Starnina a Paolo Uccello, dall’Angelico ad Andrea del Castagno a Giovanni Bellini, coincide con il riaffiorare alla coscienza di Bugiani della «nostalgia dei luoghi vissuti nell’infanzia», il luogo del sogno ove risiede, per effetto della grazia, l’unione tra bellezza e verità delle cose oltre l’apparenza dei fenomeni.

Quiete domenicale (1927), La Natività , Il mulino della Bure, Sera tra i monti (1928), La Sera sull’aia (1929), L’appuntapali e la Madonna col manto rosso (1930), formano insieme ad altre opere un florilegio ancora sottaciuto del ‘900 italiano, in cui l’evocazione lirica si affida alla sapienza tecnica e a un impeccabile rigore formale. Nel corso della sua vita, tra ripensamenti e cambiamenti di rotta, Bugiani non è mai venuto meno a un principio, oggi più che mai singolare, che identifica l’etica con l’estetica, la dirittura morale dell’uomo con un concetto di onestà operativa, incapace di compromessi, nel segno dell’autenticità.

Dalla solitudine cercata come condizione per vedere con gli occhi della mente (anche nel tentativo impossibile di sciogliere i nodi della contraddizione), alla solitudine subita ad opera dei militanti della fatuità e dei luoghi comuni, Bugiani continua a pagare un prezzo eccessivo nel corso di un’avventura critica che è ancora agli inizi.

«Ho sognato di diventare un pittore»

“…Fin da ragazzo ho sognato di diventare un pittore; nel 1918 conobbi Giovanni Michelucci col quale mi legai d’amicizia e di stima. Devo a lui le prime scoperte e miei primi studi seri su gli antichi maestri italiani.

Più tardi, esponendo per la prima volta il resultato di parecchi anni di intenso lavoro, Achille Lega e Giovanni Costetti lodarono pubblicamente la mia opera incoraggiandomi a proseguire su quella strada.

In una mostra susseguente, esponendo alcuni paesi assieme agli artisti che dovevano formare poi il gruppo del Selvaggio, ricevetti l’ambito premio di entrare in relazione con Soffici[…]

Vivo molto in campagna dove lavoro lontano da ogni polemica, desideroso soltanto di poter approfondire i miei risultati, con la sola grande ambizione di poter realizzare un’opera che possa resistere al giudizio del Tempo.”

Pietro Bugiani, “Il Frontespizio”, giugno 1939

 

TESTO

Edoardo Salvi

FOTO

Archivio Fondazione Caript

 

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