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Pesca a mosca sulla montagna pistoiese

Mi rifugio spesso nei miei fiumi alla ricerca di giovamento per lo spirito, in luoghi in cui è facile stabilire un’immediata sintonia con il contesto per depurarsi dalle vicende quotidiane.

Un fiorentino trapiantato a Pistoia come me ha trovato un piccolo paradiso nei torrenti dell’Appennino, quasi tutti ora a portata di mano. La pesca è il pretesto per vivere in maniera profonda ed intima l’ambiente circostante. Tale sintonia con le sue acque è ancora più palese se si pesca a mosca.

Tale tecnica, un tempo di nicchia, viene considerata con crescente attenzione per l’impatto quasi nullo che ha sul fiume e sui pesci. Pescare a mosca implica un rapporto intimo e personale col fiume, appreso maturando un vero e proprio percorso che si basa su due concetti: la conoscenza ed il rispetto.
Conoscenza dei luoghi, della tecnica di lancio, delle mosche artificiali da utilizzare e dei pesci da insidiare. Rispetto per chi ti sta intorno, per il fiume che ti sta accogliendo e per i pesci con cui ti stai confrontando.

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Dettaglio della mosca da cui ha origine la pesca; esemplare di Trota Fario Appenninica.

Fondamentale nella pesca a mosca è il rilascio di ogni pesce catturato, definito anche con termine anglofono no kill o catch and release. Una serie di accorgimenti pratici consente di applicare sempre questo regime annullando i danni al nostro amico pesce che potrà tornare così nel suo ambiente.

Ormai il no kill è una pratica diffusa e spesso obbligata in molte delle riserve di tutta Europa e la pesca a mosca ne è da sempre paladina. Si ribalta così il presupposto della pesca: da attività predatoria diviene motivo per vivere appieno un ambiente senza provocare danno.

Sono stati così negli anni istituiti tratti di pesca in molti corsi d’acqua europei, spesso esclusivamente riservati alla pesca a mosca, che – opportunamente gestiti – attirano un flusso turistico interessante. Esperienze a noi vicine come quelle dell’Austria e della Slovenia, con qualche distinguo di natura gestionale, e di recente come quelle di molti comprensori di pesca italiani (Trentino, Veneto e Friuli) sono ormai un riferimento e potrebbero ispirare una corretta politica gestionale e promozionale.

Il pescatore a mosca è un attento osservatore dell’ambiente e predilige contesti di valore naturalistico come i torrenti appenninici che richiedono elevata competenza per essere affrontati dal punto di vista alieutico. L’ambiente fluviale appenninico è un sistema complesso, che si evolve con continue mutazioni mettendo a dura prova ogni moschista. Diventa così una vera e propria ‘sfida’ la pesca a mosca. Stagionalità, temperatura, vento, livelli ed orari, possono creare condizioni assolutamente discordanti che possono sconcertare anche il pescatore più esperto. Questo è il tema della pesca a mosca; se vuoi confrontarti con la natura devi osservarla, interpretarla ed adattarti alle condizioni che essa ti pone.

Il territorio pistoiese, grazie alla sua estesa porzione appenninica, ben si presta a questa pratica ed è anche un punto di partenza per sconfinare verso l’appennino bolognese e modenese, la Garfagnana e la Valbisenzio. Il paesaggio che ci accompagna è generalmente montano, con estesa e densa copertura boschiva anche nelle valli più strette dove sono incastonati corsi d’acqua suggestivi che hanno formato generazioni di pescatori a mosca.
Lima, Reno, Sestaione, Limentra di Treppio e di Sambuca sono tuttora molto amati e frequentati benché siano da considerare anche corsi d’acqua minori quali Orsigna, Maresca, Limentrella, Limestre, che in determinate condizioni possono offrire delle piacevoli sorprese. In ognuno di questi è possibile trovare tutte le situazioni di pesca più intriganti che richiedono approcci distinti.

La Lima è sicuramente il fiume più rappresentativo dove profonde lame con acque calme si alternano a raschi dove l’acqua corre più veloce; qui la sfida con le trote, in prossimità di ogni corrente, è la norma. I corsi d’acqua di minore ampiezza, come per esempio la Limentra ed il Reno, corrono veloci con rapidi salti in vere e proprie gallerie vegetali che creano continui cambiamenti di luce. In ogni caso le capacità fisiche e tecniche del pescatore a mosca vengono messe a dura prova ed è una vera soddisfazione riposare a bordo fiume con i compagni ricordando le catture appena fatte.

Tutte le acque di cui stiamo parlando sono acque definite a salmonidi, habitat ideale per la trota, nelle quali vige un periodo di pesca che rispetta la fase riproduttiva della trota e dove sono istituiti tratti regolamentati e gestiti (ZRS) in cui è necessario un permesso di pesca. La pesca a mosca, per il rispetto con cui si pone verso il contesto, è considerata con crescente interesse anche ai fini turistici, non capace di generare numeri di rilievo che comunque i nostri corsi d’acqua per la loro fragilità non sopporterebbero, ma in grado di allargare l’offerta e diffondere la presenza per ravvivare la montagna pistoiese.

L’acqua è storicamente una risorsa che ha creato benessere grazie alle attività connesse ed è sempre più auspicabile una rilettura della sua dote, per tornare a vivere e presidiare un territorio che sta divenendo sempre più fragile.

 

TESTO
Giuseppe Bagnoli
FOTO
Lorenzo Gori

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