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Scultore insigne

Giovanni Pisano, straordinario artista vissuto a cavallo tra il 1200 e il 1300.

Giovanni Boccaccio, l’autore di un libro fondamentale nella cultura dell’Occidente come il Decamerone, lo definiva «sculptor insignis»; a Siena, quando lo chiamarono per dirigere il cantiere del Duomo, gli offrirono anche la cittadinanza, concedendogli importanti privilegi; l’imperatore Enrico VII, nel momento in cui decise di realizzare un monumento funebre per sua moglie, morta di peste nel 1311, affidò a lui l’incarico. Stiamo parlando di Giovanni Pisano, straordinario artista vissuto a cavallo tra 1200 e 1300, di origine pisana ma attivo anche in altre realtà, tra le quali Pistoia.

Appare quindi doveroso l’omaggio a Giovanni Pisano che la Capitale italiana della cultura ha deciso di allestire nello scenario di Palazzo Fabroni, sede del Museo del Novecento e del Contemporaneo, che per la prima volta si apre all’arte antica, ospitando nelle sale del secondo piano 9 opere. Opere che non solo permettono di seguire le tappe principali di uno stupefacente (ed estremamente moderno) percorso artistico, ma che si pongono in relazione con la città di Pistoia, che intorno al 1298, tra l’altro, commissionò a Giovanni Pisano il pergamo marmoreo della pieve di Sant’Andrea, concluso nel 1301. Un pergamo di valore assoluto, come sapeva lo stesso Pisano che ci scolpiva sopra una frase latina auto-elogiativa: «Scolpì Giovanni, che non intraprese cose vane, figlio di Nicola ma felice per una migliore sapienza, che Pisa generò dotto più di ogni cosa mai veduta». La scelta del Fabroni come sede espositiva appare anche per questo perfetta: le opere in mostra dialogano con la pieve di Sant’Andrea, guardano la chiesa attraverso le finestre della facciata. Loro che saranno esposte nelle sale in maniera temporanea additano a tutti il capolavoro permanentemente visitabile: e raccontano la storia di un genio dell’arte all’interno della quale si colloca anche il vertice raggiunto scolpendo il pergamo.

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Giovanni Pisano, Allegoria della Giustizia, part., marmo, 1313 circa, Genova, Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola; Nicola Pisano, Stimmate di San Francesco, part., marmo, 1270-1275 circa, Pistoia, Museo Civico.

Nato intorno al 1248, Giovanni è un vero e proprio figlio d’arte. Continuerà a farsi chiamare, fino al termine della vita, «Giovanni di maestro Nicola», anche se ammetterà – come abbiamo visto – di essere andato oltre l’insegnamento paterno. È Nicola che gli fa respirare arte fin da piccolo ed è lui a coinvolgerlo ancora giovanissimo in cantieri importanti: quando firma il contratto per il pulpito del duomo di Siena, nel 1265, inserisce anche, tra i suoi collaboratori, il figlio. I due lavoreranno poi fianco a fianco nel cantiere del battistero di Pisa, fino alla morte di Nicola, avvenuta nel 1284. Roberto Bartalini, che ha curato la mostra in collaborazione con Sabina Spannocchi, non a caso ha pensato di iniziare l’omaggio proprio con un’opera di Nicola: le Stimmate di San Francesco, nella prima sala del percorso espositivo, costituiscono un autentico preludio, all’esposizione e – soprattutto – all’arte di Giovanni.

Le restanti otto stanze sembrano otto stazioni per avvicinarsi alla bellezza e alla forza espressiva di opere in marmo e in legno alle quali – spiega il curatore – si sarebbe potuto accostare un esempio di scultura in avorio, se il Museo dell’Opera del Duomo di Pisa avesse concesso di esporre la Madonna eburnea che custodisce. Ma non è “ciò che manca” a colpire il visitatore, in una mostra che punta all’essenzialità, che mette in campo un numero limitato di pezzi, permettendo così una visita più approfondita, accompagnata dalla curiosità e dallo stupore, senza lasciare spazio alla stanchezza o all’esaurimento estetico, che talvolta contraddistingue le grandi esposizioni con un numero elevato di capolavori. Otto pezzi sceltissimi, otto momenti sublimi. Si passa così dalla Madonna con Bambino, un tondo in marmo del giovane Giovanni, nel quale colpisce soprattutto la assorta figura di Maria, all’Angelo con la testa del Battista, una scultura in legno che appartiene a due mani e a due distinte sensibilità: se l’Angelo proviene dalla Francia (e costituisce un pregevole esempio di arte gotica francese), la testa di San Giovanni – opera del Pisano – rompe l’equilibrio dell’insieme, non solo per le sue dimensioni (grandi rispetto alla statura dell’Angelo), ma soprattutto per la sua espressività.

Tra i crocifissi esposti, si possono ammirare il Cristo monumentale proveniente dalla chiesa pistoiese di San Bartolomeo che, isolato nella stanza a lui dedicata, sembra finalmente mostrarsi in tutta la sua forza, uscendo dal cono d’ombra che lo ha avvolto fino ad oggi (è tra le opere meno conosciute e meno studiate del Pisano); e il Crocifisso senese, di piccole dimensioni, che testimonia con chiarezza l’invenzione di una nuova tipologia di Crocifisso ligneo, che avrebbe avuto fortuna nel 1300, con il corpo del Cristo che si stacca dalla croce, in un movimento fortemente e drammaticamente espressivo: Giovanni Pisano – scrive Bartalini in uno dei testi inseriti nel giornale che accompagna la mostra – «preferì raggiungere un’energica tensione drammatica attraverso un movimento fortemente articolato del corpo».

«Sentì che le figure avevano bisogno di gesti possenti per ‘comunicare il loro messaggio’», scriveva nel 1969 Henry Moore, ricordando quando si era trovato di fronte alle sculture del Pisano realizzate per il Battistero di Pisa e rappresentate, nella mostra, da una delle cosiddette “Ballerine”: e la frase sembra sintetizzare perfettamente questo omaggio a Giovanni Pisano che, morto prima del 1319 a Siena, veniva sepolto, su sua richiesta, lungo la parete della cattedrale, in prossimità della facciata che aveva progettato anni prima. Nato per l’arte, vissuto per l’arte, dall’arte neppure la dipartita lo ha separato.

 

TESTO
Giovanni Capecchi
FOTO
Serge Domingie 

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