Stefano e Paola Innocenti: la memoria del piacere “georgico” della fatica.
C’è un modo di apprezzare e amare, rispettando ciò che ti circonda, senza pretendere che ti appartenga esclusivamente, ed è un modo radicato nell’animo toscano. Da sempre qui trova espressioni nella vita vera di molti, apprezzata e semplice, il concetto che “il profitto è reale solo quando non erode o travolge tradizioni, storia, natura”. Sembrerebbe una banale utopia. Non lo è. Basta avere occhi per vedere e voglia di esplorare spazi, defilati dai grandi flussi turistici, per arretrare piacevolmente di quasi un millennio.
Percorrendo da Pistoia la ss 66 (Ximenes) per l’Abetone, a Le Piastre svoltiamo verso Prunetta, lungo la ss 633, e seguiamo le indicazioni per Lolle. Nel comune di Piteglio cerchiamo Stefano Innocenti e il suo gregge di pecore nere, quelle di razza autoctona toscana, la massese. A rafforzare il convincimento di essere preda di un fantastico viaggio, a ritroso nel tempo, contribuisce l’apparizione del ponte, a tutto sesto, sul fiume Lima, detto di Castruccio. Condottiero, Castruccio Castracani, signore di Lucca, lo volle proprio sul limite fra Pistoia e la Lucchesia, verso la fine del 1200, quando i confini erano diversi. Il ponte ha pendenze adatte ad agevolare il movimento dei carri, è in muratura con corsi di ciottoli di fiume e pietrame erratico. Costruzioni attigue, dette “le due dogane”, completano il perfetto quadro medievale avviluppato dal verde. Dal sogno non ci toglie neppure il sorriso accogliente di Stefano Innocenti, che, correndo, quasi appare inseguito da una belante compagnia.
C’è un modo di apprezzare e amare, rispettando ciò che ti circonda, senza pretendere che ti appartenga esclusivamente, ed è un modo radicato nell’animo toscano. Da sempre qui trova espressioni nella vita vera di molti, apprezzata e semplice, il concetto che “il profitto è reale solo quando non erode o travolge tradizioni, storia, natura”. Sembrerebbe una banale utopia. Non lo è. Basta avere occhi per vedere e voglia di esplorare spazi, defilati dai grandi flussi turistici, per arretrare piacevolmente di quasi un millennio.
Percorrendo da Pistoia la ss 66 (Ximenes) per l’Abetone, a Le Piastre svoltiamo verso Prunetta, lungo la ss 633, e seguiamo le indicazioni per Lolle. Nel comune di Piteglio cerchiamo Stefano Innocenti e il suo gregge di pecore nere, quelle di razza autoctona toscana, la massese. A rafforzare il convincimento di essere preda di un fantastico viaggio, a ritroso nel tempo, contribuisce l’apparizione del ponte, a tutto sesto, sul fiume Lima, detto di Castruccio. Condottiero, Castruccio Castracani, signore di Lucca, lo volle proprio sul limite fra Pistoia e la Lucchesia, verso la fine del 1200, quando i confini erano diversi. Il ponte ha pendenze adatte ad agevolare il movimento dei carri, è in muratura con corsi di ciottoli di fiume e pietrame erratico. Costruzioni attigue, dette “le due dogane”, completano il perfetto quadro medievale avviluppato dal verde. Dal sogno non ci toglie neppure il sorriso accogliente di Stefano Innocenti, che, correndo, quasi appare inseguito da una belante compagnia.
Un menestrello, dalla chioma incontenibile, sopra una faccia gioiosa. Con la moglie Paola Matani, al Podere La Fornace, prosegue gli intenti dell’azienda agricola Innocenti (risalente a tre generazioni) e produce formaggio grazie al latte di un centinaio di pecore. Animali rustici, agili, dall’occhio attento, con grandi corna a spirale, molto scure, così come il vello che vira al nero intenso.
Il carattere: “Contrariamente al loro aspetto, è dolce e molto vivace” dice Stefano, che, talvolta, ci gioca proprio, mimando esilaranti cori in cui fa il maestro sul podio. Abbiamo scelto lui per presentare una realtà del territorio, che coinvolge, nel Pistoiese, diversi altri produttori, pochi ancora giovani a onor del vero. Indubbio è però che tutti sono perdutamente innamorati dei loro monti, delle valli e del loro lavoro, anche se assai poco remunerativo per l’impegno che esige. Slow Food, la capillare organizzazione, nata in Italia e proiettata nel mondo, che difende piccole realtà produttive di pregio, con il presidio “Pecorino della Montagna Pistoiese” tifa per loro. L’area di produzione del pecorino a latte crudo (la cui temperatura massima durante la preparazione non supera 39°) spazia tra Borgo a Buggiano, Cutigliano, Lamporecchio, Montale, Pescia, Pistoia, Piteglio,Quarrata, Sambuca Pistoiese , San Marcello Pistoiese.
Il “Consorzio Montagne e Valli di Pistoia” vigila su circa 20 aziende, ma chi produce con vero spirito libero, agisce e preferisce creare bontà in proprio, seguendo metodi che garantiscono la continuità dell’antica sapienza formaggiaria dei loro avi. Per intenderci: questo latte va lavorato entro due sole ore dalla mungitura. Le aziende si appoggiano all’Associazione Provinciale degli Allevatori prevalentemente per risolvere i molti e complicati aspetti burocratici, obblighi assimilabili a quelli di grandi aziende, che avrebbero poca attinenza con questi lavori della tradizione. La promozione e la conoscenza del loro pregiato prodotto, che viaggia ben oltre i confini del territorio, è affidata al Consorzio (referente anche del Presidio Slow Food).
Le scure greggi portate al pascolo in alpeggio, o in inverno nutrite come una volta (con fieno, mais, crusca e avena), vengono munte spesso anche mano. Per il formaggio si usa caglio naturale e non è prevista pastorizzazione del latte, che si lavora, appunto, rigorosamente crudo e sa regalare anche delizie, come ricotta, ricottina e raveggiolo, da gustare senza indugi.
La freschezza è d’obbligo. La pecora, partorendo tre volte in due anni, garantisce latte in ogni stagione. Tre sono anche i tipi di pecorino: il fresco, pronto dopo 7/20 giorni, l’abbucciato (pronto dopo due mesi) entrambi di pezzature tra il kg e il kg e mezzo, mentre il pecorino da asserbo ha stagionature più lunghe, da 3 a 18 mesi, e raggiunge anche i 3 kg di peso. Il sapore e la consistenza cambiano, adattando i vari tipi al gusto personale e ad abbinamenti con cibo locale: da pane toscano sciocco (privo di sale) a polenta di mais, patate lesse, pere. Il vero sposalizio perfetto, però, è con i necci. Buongustai allertatevi se non ne avete mai assaggiati.
Farina di castagne pistolesi seccate, soffice e dolcissima, amalgamata ad acqua bona (della montagna) serve a formare l’impasto semifluido che, oggi, su forme di ferro roventi e unte con una passata di rigatino, viene cotto come una morbida crèpes. E dentro, appena pronti, mentre i necci fumano e profumano, ci si mette il formaggio. Latte, erba verde o miele amaro, castagna o delicate note piccanti sono solo alcune delle sensazioni che allora può cogliere il palato.
TESTI
Enza Pirrera
FOTO
Fabrizio Antonelli
Nicolò Begliomini