Dai “bicicli” dell’800 ai modelli per le imprese di Girardengo Coppi, una straordinaria storia raccolta dai fratelli Mauro e Giuseppe Mori, a Pavana.
La storia in bicicletta. Non un paradosso, ma una straordinaria raccolta, a partire dagli alti bicicli del bel mondo alla moda ottocentesco. Ne sono proprietari i fratelli Mauro e Giuseppe Mori, coadiuvati da Stefano, figlio di Mauro, di professione meccanici, a Pavana, in via Ponte della Venturina. Biciclette tutte ben ordinate in un capannone – museo, sorelle minori di auto e moto, analogamente collezionate: più silenziose, ma non meno eleganti e sfiziose, talune agili e vittoriose, altre più sobrie e tuttora cariche di una fatica antica. Tante storie testimoniate.
“Tutto nacque – rivela Mauro – dal divieto assoluto di mio padre Elio che avessi una moto. Ma la moto era il mio sogno e un bel giorno ne trovai una che feci restaurare e il sogno divenne passione. Dalle moto alle biciclette il passo fu breve: costavano ovviamente meno e prendevano poco posto. Ormai, sono passati trent’anni – continua il nostro collezionista – ho comprato quelle che mi sono piaciute, anche mai viste prima e pure di poco valore. La nostra raccolta è di netta soddisfazione, un innamoramento assolutamente personale; la questione venale non ci interessa”.
Vediamoli dunque questi esemplari sulle cui ruote è corso quasi un secolo e mezzo. Il più antico è il velocipede francese Misho 1870, con entrambe le ruote di legno ricoperte di ferro, pedali in bronzo e pedalata sull’asse. Gran fatica, ma lo sfoggio abbagliava gli occhi!
Di appena dieci anni dopo, ecco una similare bicicletta Necchi, anzi no: si chiamava “bicicletto”, grazie al quale si poteva migliorare l’andatura per le ruote a gomma piena e il freno a tampone su quella davanti. E che di notte accendeva un romantico lume a candela. Un paio di velocipedi fine Ottocento: baffi e cilindro in aria, sulla ruota panoramica davanti, vanità letteralmente altolocata. Sfilano poi delle bici con lume a petrolio, altre con freni a pedale, alcune, ancora, con campanello fatto suonare da una rotella sul fascione anteriore.
Pedersen (1904), costruttore danese di tubi, inventa il telaio moderno. La ditta Bianchi, per ben sessant’ anni sfornerà bici da campionissimi: la Bianchi e Coppi, insuperabile binomio, pluricampioni del mondo. Ma prima di Coppi, il campionissimo fu Girardengo. Ecco qui la Maino del 22 e una due ruote anche per Binda e Guerra.
In antico, il cambio non c’era, ma qui si mostra che si poteva adattare la bici alle salite scambiando le ruote. Oppure, pedalando all’indietro, roba del 1915. Collezionato perfino un esemplare con tanto di marce, prima, seconda e terza, degli anni Trenta, epoca il cui sopravvenne il cambio Vittoria, spodestato, vent’anni dopo, dal Campagnolo.
Bello lo sport, ma la prima metà del Novecento vide pure biciclette da guerra e militari in genere. Un esemplare, sempre anni Trenta, verde spento – bruciato, porta ancora le piume di un bersagliere. Il nostro viaggio si conclude con le biciclette da mestiere: barbiere, norcino, falegname. Il musicista si portava dietro trombetta e tamburo e un organetto. Ma il più ambito era il magnano, restauratore di paioli e pentole.
Collezione privata visibile su appuntamento:
Via Ponte della Venturina – Pavana – PT
Tel. +39 0534 60057
TESTO
Paolo Gestri
FOTO
Nicolò Begliomini