Un’opera d’arte tra le nostre montagne.
Non è roba di tutti i giorni scovare un’opera d’arte tra le nostre montagne, seppure chi conosce a fondo i paesi dell’alto pistoiese e la loro storia non se ne meraviglia più di tanto. Si tratta di una piccola perla che si aggiunge ad un contesto già di per se ricco che rimandano alla storia scritta nelle valli e tra le cime del nostro Appennino, quando queste collegavano il Granducato di Toscana ai principati del nord.
La montagna pistoiese è da sempre un crocevia di straniere genti. Da qui sono passati tanti personaggi della storia. Dal mitico Silla, che pare sia transitato con le sue truppe, tanto da lasciare inciso il suo ricordo nella toponomastica del luogo, accampandosi su di un ampio prato che ancora oggi porta il nome di Camposillani; all’amico Catilina che pare orchestrasse nei pressi di Cutigliano la famosa battaglia. E ancora Orlando, il mitico paladino, che passando da queste parti, tra mille peripezie, perse il suo cappello sulla cima del monte che ancora lo ricorda, il Cappel d’Orlando. Per non dire di Francesco Ferrucci, difensore della repubblica fiorentina che a Gavinana, ormai gravemente ferito, fu ucciso dal capitano di ventura Fabrizio Maramaldo, mentre pronunciava la celebre frase: “Vile, tu uccidi un uomo morto”.
Ancora oggi Cutigliano porta i segni di queste e molte altre storie. Un paesino da presepe, ancorato al suo passato e alla pendice della montagna scoscesa, affacciato sulla valle che guarda a sud,e che custodisce, nel tempo, più le caratteristiche signorili di nobili lignaggi, che la rudezza montanara delle popolazioni confinanti. La schiettezza della vita sui monti, qui, si è ingentilita per aver respirato tanta aria fiorentina, ricordata dagli innumerevoli stemmi affissi sulla facciata del celebre palazzo dei “Capitani della Montagna”, oggi sede del comune, e dai nomi altisonanti incisi sui sepolcri a baldacchino e sui sarcofagi in pietra, all’interno dello scosceso cimitero, dove, scolpito nella pietra, ci accoglie un monito: “Tu che leggi, qui ti aspetto”.
Anche la Pieve di San Bartolomeo, discosta dal borgo, si offre alla valle affacciandosi sulla piccola piazza alberata, affollata nelle domeniche estive come il palco centrale di un teatro alla prima.
La sobria costruzione conserva al suo interno alcune pregevoli antichità e una perla rara: un dipinto sconosciuto da tempo e recentemente riscoperto. Si tratta di una tela seicentesca di ispirazione fiammingo-caravaggesca, dipinta da Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni. Il quadro di grandi dimensioni rappresenta l’atto della circoncisione del bambin Gesù. Il sommo sacerdote chino sul fanciullo, illumina tutto il quadro con la sua veste bianca. Dall’altro lato la longilinea figura di Maria, dal velo discosto a mostrare il dolce profilo e l’orecchio, assiste con le mani raccolte al petto. Anche San Giuseppe si affaccia sulla scena. La tensione è vibrante, l’equilibrio dei volumi e dei colori perfetto. La luce radente caratteristica del maestro ispiratore, il Caravaggio, attraversa il quadro e si concentra sulla figura del piccolo bambino, benché, anche se discosta, la vera protagonista del quadro è la Vergine Maria. L’autore ci rimanda una figura elegante nel portamento, apprensiva e attenta al f