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Scrigno di opere d’arte

Originale monumento in stile romanico toscano.

Chi arriva in visita a Pistoia e s’imbatte nella chiesa di “San Giovanni Fuorcivitas”, si trova di fronte ad uno dei più originali monumenti dell’arte romanica toscana. Una facciata posta sul fianco settentrionale di una chiesa che fu costruita – sopra un primo nucleo di antichissima origine, forse risalente al tempo della conversione al cristianesimo dei Longobardi – all’esterno di quella che era la prima cinta muraria altomedievale, da cui la titolazione fuorcivitas.

Oltre le mura scorreva una gora detta dell’Ombroncello e l’edificio dovette essere un punto di riferimento per le popolazioni del contado, che si avvicinavano alla città; e che avrebbero trovato in questo luogo di culto un gruppo di canonici che viveva in comunità, come ancor oggi dimostra il chiostro, in laterizio e pietra, attiguo a questa chiesa che nel XII secolo fu dipendente dalla pieve di Santo Stefano, oggi duomo di Prato.

Non sappiamo per quanto tempo San Giovanni fu soggetta alla propositura pratese, ma è certo che nella seconda metà del secolo si dette inizio ai lavori di ampliamento e si costruì la straordinaria facciata così come la vediamo oggi: una fabbrica edificata su tre ordini orizzontali di arcate cieche, sostenute da paraste nella parte inferiore e da colonnini con capitello nei due ordini superiori. All’interno di tali arcate, che scandiscono con un ritmo costante l’intero apparato decorativo, si trova una caratteristica ornamentazione architettonica pistoiese: quella losanga degradante, che è presente anche sugli esterni di altri edifici medievali cittadini, dalla Cattedrale a Sant’Andrea, da San Bartolomeo a San Pier Maggiore. Ma rispetto a queste e ad altre chiese romaniche della Toscana, il bicromismo di San Giovanni, realizzato con la pietra calcarea bianca detta “alberese” e il marmo verde (serpentinite), costituisce un colore di fondo talmente esasperato da mettere in secondo piano la forte orditura architettonica verticale. Questa vocazione al colore doveva essere ancor più evidente nell’architrave, raffigurante l’Ultima Cena, che tutt’oggi possiamo ammirare sopra il portale d’accesso alla chiesa.

Fu opera di Gruamonte, come riporta l’iscrizione scolpita sui conci marmorei dell’archivolto, che incornicia la lunetta contenente la statua del Santo: “Gruamons magister bonus fec(it) hoc opus”. Dobbiamo immaginarcelo, però, molto diverso da come lo vediamo oggi.

Dagli ultimi restauri sono emerse diverse tracce di una policromia – ancor oggi visibile a occhio nudo – che ornava le vesti degli apostoli rappresentati seduti accanto al Cristo, davanti a una tavola coperta da un’ampia tovaglia, i cui drappeggi sembrano essere la naturale continuazione degli abiti togati dei personaggi. In basso e opposta agli altri, ridotta di dimensioni, s’inginocchia la mostruosa figura di Giuda. Non si conosce la data di realizzazione di quest’opera, ma dalle analisi stilistiche sembrerebbe posteriore agli anni ’60 del XII secolo, anni in cui l’autore firma altri due architravi istoriati a Pistoia (Sant’Andrea e San Bartolomeo in Pantano).

La chiesa conserva diversi capolavori d’arte: una visitazione in terracotta invetriata di Luca della Robbia, un pergamo marmoreo attribuito a Fra’ Guglielmo da Pisa (metà del XIII sec.), un’acquasantiera di Nicola Pisano, un Crocefisso ligneo policromo della prima metà del XIII sec., e diverse opere pittoriche di grande pregio, fra le quali spicca un polittico di Taddeo Gaddi raffigurante La Madonna col Bambino e i santi Jacopo, Giovanni Evangelista, Pietro e Giovanni Battista.

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La Vergine accoglie Elisabetta

Uno dei maggiori capolavori del Quattrocento di Luca Della Robbia  

La Visitazione è una delle prime opere in terracotta invetriata di quello che fu il capostipite di una famiglia di artisti, con enorme notorietà nel Rinascimento. Fu, infatti, realizzata da Luca della Robbia verso la fine del 1445, su commissione della famiglia Fioravanti per l’altare della Confraternita di Sant’Elisabetta, nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas. E’ un lavoro straordinario, non solo per la novità nell’uso di questa tecnica, che fece la fortuna dei Della Robbia, soprattutto per la sua iconografia così fuori dalla norma: la Vergine, dai tratti semplici e puri di una giovinetta del tempo, si china verso un’anziana Elisabetta che si genuflette di fronte a lei. Sembra di trovarsi di fronte ad una scena domestica di forte realismo, dove il gioco di sguardi fra le due figure acquista i caratteri di quell’intimità familiare nella quale ogni fedele poteva riconoscersi.

Fino alla prima metà del secolo scorso il gruppo scultoreo si trovava nella sua collocazione originale, di fronte a quella attuale, ovvero sul lato destro della chiesa. Il visitatore che fosse entrato in chiesa avrebbe quindi visto il volto della Vergine che accoglie Elisabetta, e come lei si sarebbe inginocchiato di fronte all’altare. Una relazione tra opera d’arte e contesto liturgico che nel pieno Rinascimento era particolarmente sentita. Oggi, forse, ci riesce più difficile immaginarsi questo rapporto, ma ci rimane il piacere di ammirare un’opera d’arte dalle forme eleganti ed essenziali, ispirate alla classicità e alla ricerca del vero, come uno dei maggiori capolavori del Quattrocento italiano.

TESTI

Lorenzo Cipriani

FOTO

Fabrizio Antonelli

Nicolò Begliomini

 

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