A lavoro nel suo studio di Montecatini.
E’ una ricerca instancabile all’armonia e al ricongiungimento delle singole pratiche artistiche quella portata avanti da Oreste Ruggiero. Architetto, artista e scrittore, nel corso della sua folgorante carriera ha avuto modo di dialogare con personaggi illustri del mondo della cultura internazionale. Come Giovanni Michelucci, che nel 1984 ha scritto un’introduzione al suo saggio “Architettura, la scomparsa di un’arte”, o come il critico Bruno Zevi, con cui nel 1997 ha realizzato il congresso internazionale di Modena volto al rilancio, dopo il Post Modern, dell’architettura organica teorizzata da Frank Lloyd Wright.
Abbiamo incontrato Ruggiero nel suo studio di Montecatini, dove risiede da sempre e in cui ha sede anche il suo atelier personale. Come è riuscito a conciliare la sua attività di architetto con quella di artista e saggista? Si tratta di pratiche che rispondono alla medesima esigenza creativa, e dunque non sento il bisogno di distinzioni nette. Per me arte e architettura sono sempre andate di pari passo, e questo era anche il senso di “Architettura, la scomparsa di un’arte”. Quel mio primo saggio era un grido d’allarme contro una tendenza generale alla semplificazione, che voleva ridurre l’architettura a mera tecnica. Con Zevi condividevo l’idea del bisogno di tornare a una sorta di grado zero. Vorrei, cioè, che si tornasse a vedere l’architettura come una sintesi delle varie sensibilità provenienti da arte, musica o letteratura.
Il suo percorso di ricerca l’ha portata a confrontarsi con figure come Michelucci o Jorio Vivarelli.
Erano veri maestri, di quelli che forse oggi è sempre più raro trovare. Michelucci era introverso, aveva l’umiltà che solo i grandi riescono ad avere. Ho incontrato Vivarelli, poi, negli ultimi anni della sua vita, in occasione del concorso romano per un monumento ai caduti di Nassiriya.
Non vincemmo, ma fu bellissimo vederlo prendere la matita in mano e ringiovanire improvvisamente.
I suoi saggi e romanzi traggono spunto da ricerche su basi non soltanto d’archivio, ma anche congetturali. Penso alle indagini sulle figure geometriche recondite in Piero Della Francesca e alle scoperte illustrate ne “L’altro Leonardo”. Anche il suo ultimo libro, ambientato in Valdinievole, è sullo stesso stile?
In parte sì: “Decadenza e trasmutazione” è un’opera narrativa incentrata sul fascino dei luoghi sacri, un tempo ritenuti punti di congiunzione tra cielo e terra. Tra questi vi erano ad esempio Santiago di Compostela e Delfi, ma anche, a mio parere, la valle del torrente Nievole, al centro anche di alcuni disegni di Leonardo.
TESTI
Giulia Gonfiantini
FOTO
Fabrizio Antonelli