Dall’opera del fiorentino Galileo Chini agli artisti del MO.C.A..
Passeggiando lungo il viale Verdi ci si imbatte nella mole del municipio, che, situato su un’altura artificiale, pare competere per monumentalità coi prestigiosi stabilimenti termali e ricettivi costruiti a partire dal tardo Settecento.
I “‘Regi Bagni di Montecatini” erano infatti un comune giovane, istituito solo nel 1905 per distacco dall’avito castello (oggi Montecatini Alto), quando, a seguito dello sviluppo ottocentesco e del clima mondano della Belle Epoque, la città d’acque era divenuta meta di una clientela internazionale. Proprio agli inizi del Novecento lungo lo storico “stradone dei Bagni” sorgevano nuove strutture termali, ricreative e commerciali, ad opera dell’imprenditore Pietro Baragiola e del suo architetto di fiducia Giulio Bernardini.
Quando nel 1911 fu affidata la progettazione del palazzo in stile storico eclettico al montecatinese Raffaello Brizzi, era chiaro l’intento di arricchire la scena urbana con un’opera degna della prosperità e gaiezza del luogo.
La costruzione, iniziata nel 1912, fu solo rallentata dagli eventi bellici, tantoché nel 1918 si lavorava di buona lena alle decorazioni dell’interno: un tripudio di stucchi, affreschi, vetrate, sculture dove nulla è lasciato al caso.
Sul pianerottolo dello scalone, vera e propria cascata di pietra, il busto del Bararagiola (morto nel 1914) e l’iscrizione dedicatoria a Luigi Righetti, l’ingegnere comunale che diresse i lavori, introducono alla galleria di uomini benemeriti per la ville d’eaux (fra cui lo stesso Bernardini), effigiati nei busti sopraporta del piano nobile. Ma soffermandosi al piano terra i due cortili interni coperti da lucernario, perfettamente simmetrici rispetto al vano scale, rivelano un’inaspettata gioia di forme e di colori.
Tanto i vetri dei velari al soffitto tanto quelli degli sportelli –tutti opera della rinomata manifattura “Fornaci di San Lorenzo” di Galileo Chini– rimandano alla originaria funzione dei due saloni. In quello di sinistra, in origine esattoria, la luce cala attraverso lo stemma comunale, mentre in quello delle Regie Poste, a destra, esalta la croce dei Savoia. Gli emblemi del lavoro (come la vanga con spighe di grano) impressi “a gran fuoco” negli sportelli vetrati del primo e quelli della comunicazione postale (come la busta e il telegrafo) in quelli del secondo sono replicati nei soprastanti affreschi dei rispettivi ballatoi.
Qui, fra candelabre color rosso vivo su fondo verde, si scorge la firma del celebre pittore fiorentino che nel 1920, anno dell’inaugurazione del palazzo, eseguì anche il ciclo ‘a fresco’ della volta che sostiene il lucernario dello scalone. Dal velario centrale (posto in opera come gli altri due sino dal 1918) il putto neorinascimentale, tipico del repertorio chiniano, pare dialogare con le otto figure allegoriche dei pennacchi, che, due per lato, incarnano i motti delle rispettive lunette: “Costruire, sapere, lavorare nella pace”. Ossia i valori alla base di una società prospera e armoniosa, nella quale Chini credeva e della quale la Flora-Pace, che leggiadra reca fiori, pare essere la più accattivante interprete.
Galileo Chini (1873-1956)
Nato a Firenze, fu pittore di gran voga e fama internazionale per decorazioni a fresco, in ceramica o vetro di edifici pubblici e privati, attivissimo a Firenze, Pistoia, Montecatini, Viareggio. Ai ‘Regi Bagni’ era noto anche per il punto vendita della “Fornaci di San Lorenzo” – la manifattura ceramica fondata nel 1906 col cugino Chino Chini – situato nel padiglione dei sali delle Terme Tamerici sul viale Verdi. Sulla sua facciata Galileo è effigiato in veste di artigiano rinascimentale in un bassorilievo di Domenico Trentacoste (1902).
TESTO
Claudia Becarelli
FOTO
Foto Rosellini