L’ingegnere aeronautico concittadino fondò la squadra corse Alfaromeo. La più amata al mondo.
Difficile definire un personaggio geniale come Carlo Chiti. Difficile, perché ogni definizione rischia inevitabilmente di trasformarsi in una gabbia.
Chiti da Pistoia, classe 1924, ingegnere aeronautico, non fa eccezioni. Una vita piena di cose, di idee, di progetti. Di fatti. Una vita segnata da straordinari successi e da altrettante, cocenti delusioni. Una cosa è certa: Carlo Chiti ha lasciato un segno indelebile, non solo nel mondo dell’automobilismo sportivo, ma nello sport in assoluto e nella storia industriale italiana.
«Io sono un pacifico tecnico finito senza volere nel mondo frenetico, irrazionale e spesso contraddittorio delle competizioni». Così il fondatore dell’Autodelta, insieme con Lodovico Chizzola, amava descriversi.
Era il 5 marzo del 1963, quando a Feletto Umberto, frazione di Tavagnacco in provincia di Udine, viene fondata l’Autodelta, diventata in pochissimo tempo la squadra corse Alfa Romeo più amata al mondo. Dalle sue officine, ben presto trasferitesi a Settimo Milanese, prendevano forma le Giulia TZ, le TZ2, le mitiche Giulia GTA, le 33, le GTV da competizione che per un ventennio hanno dominato i campionati assoluti Turismo, i Campionati Sport Prototipi e hanno ottenuto risultati eccellenti nei Rally, fino alla Formula 1. E se non fosse stato per lo zampino maldestro della politica, probabilmente sarebbero arrivati gli sperati successi anche nella massima formula. L’Alfa, infatti, era un’azienda pubblica, fino alla ingloriosa e discussa cessione alla Fiat nel 1986; appartenente allo Stato italiano tramite Finmeccanica, holding finanziaria dell’Iri (Istituto di Ricostruzione Industriale). E proprio con le solite beghe politiche di italico stampo, fatte di mediazioni, interdizioni, veti incrociati, ipocrisie, Carlo Chiti ha avuto quotidianamente a che fare, per difendere il suo quotidiano operato di direttore della squadra corse Alfa Romeo. Un’esistenza indubbiamente difficile, ardua, contrastata da invidie, gelosie e interessi che con lo sport – e il lavoro dei circa cento addetti dell’Autodelta – non c’entravano nulla.
Ecco perché la statura professionale ma anche e soprattutto umana di Chiti acquista una valenza davvero fuori dell’ordinario, non comune, per certi versi unica.
Dal quel giorno di fine inverno del 1963 sono passati cinquant’anni, e il ricordo degli appassionati per le vetture e per gli allori del biscione non è mai venuto meno. Al punto che oltre 100 equipaggi italiani e stranieri, su altrettante auto dell’epoca d’oro della Casa milanese del Portello, insieme con decine di ex dipendenti e collaboratori dell’Alfa e di Autodelta e di numerosi piloti dell’epoca, tra cui un altro “toscanaccio”, il pratese Nanni Galli, si sono ritrovati il 17 marzo scorso in un “summit” che da Arese, ultima sede dell’Alfa, li ha portati a Settimo Milanese e infine sulla pista di Balocco, nel Vercellese, incuranti della neve che non ha mai smesso di tartassarli.
Autodelta è stata un’esperienza indimenticabile, non solo per il valore sportivo ma anche e soprattutto perché la scuderia capitanata dall’Ing Chiti da Pistoia – con l’appoggio del grande presidente dell’Alfa di allora, il milanese Giuseppe Luraghi – ha consentito all’Alfa Romeo, al marchio milanese e al “made in Italy” di qualità di conquistare in tutto il mondo un prestigio che dura ancora oggi.
TESTO
Massimo Colombo
FOTO
Archivio Alfa Romeo Automobilismo Storico,
Centro Documentazione (Arese, Milano)