Tra Fellini, Sordi e Mastroianni.
In una località termale si può andare per le più diverse ragioni. Guido Anselmi, un regista famoso in crisi d’ispirazione, uomo di mezza età (ha 43 anni: come Federico Fellini quando girò il film, non per caso), ci va per rilassarsi e anche per capire qualcosa di più di sé e del suo stesso mestiere. È l’inizio del film italiano forse più celebre, Fellini 8 ½, girato nel 1963 e Oscar come miglior film straniero esattamente 50 anni fa, quello che più di ogni altro fece coniare in tutto il mondo il termine “felliniano” – ‘ho sempre desiderato essere un aggettivo’, chiosava ironicamente il regista.
Così Fellini-Anselmi, un Marcello Mastroianni a dir poco superbo, va alle terme, in un luogo che, nelle finzioni ambientali tipiche di Fellini, è o può essere Montecatini ma anche Chianciano (del resto, è noto che Via Veneto, nella Dolce vita, fu tutta ricostruita in studio: qui, le locations sono tutte fantasiose, ricostruite o ricavate da mosaici geografici). Un luogo, la Montecatini reale e non allusa, dove anche in seguito sarebbero state ambientate scene famose con Alberto Sordi (Le vacanze intelligenti, 1978, regia dello stesso Sordi, nel film a più mani Dove vai in vacanza?), o ancora con Mastroianni (Oci ciornie, di Nikita Sergeevič Michalkov, 1987).
Guido, o Federico se si preferisce, lì nel parco, in un albergo termale dove le inservienti parlano un marcato toscano e fra i boccali colmi d’acqua, si guarda intorno: e incontra vecchi amici, collaboratori romani, l’amante scesa da un treno che più felliniano non si può, la moglie in visita, attrici francesi più o meno svenevoli, sceneggiatori sentenziosi e produttori disperati, clowns, fachiri, attricette, musicisti, prestigiatori, preti e monsignori. L’universo felliniano, insomma, in un luogo metaforico dove per forza centripeta tutti sono come calamitati. Un girotondo stravagante, con contorno obbligatorio (in Fellini) di suore di passaggio e preti panciuti o ossuti come pertiche.
Ci si potrebbe chiedere il perché, almeno a chi scrive, viene in mente la suggestione di Montecatini, o della sua finzione. Ci ricordiamo allora che nel 1957, quindi appena pochi anni prima, Guido Piovene aveva pubblicato lo splendido Viaggio in Italia. Dove, arrivato in Toscana dopo Lucca, il grande giornalista e scrittore entrava a Montecatini. E incontrava «una dolcezza in cui si insinuano, avvicinandosi a Pistoia, un’intima severità, un rigore e un riserbo», con i garofani e i luoghi dove «nacque la grande fiaba toscana moderna, Pinocchio». E lì, aggiungeva Piovene con una fulminea intuizione, «la crudezza toscana non rinunzia a se stessa, ma s’ingentilisce in favola».
E proprio lì, in quel luogo fiabesco che esiste e non esiste, era facile allora per Guido-Federico ritrovare un po’ se stesso e la sua memoria, in uno spaesamento onirico, mentre intorno gli ballano l’infanzia e le ombre dei genitori con cui parla commosso, l’innocenza perduta forse per sempre, una struggente nostalgia e la calma ancora raggiungibile o almeno sperabile: in un parco bellissimo, fra donne sorridenti o sfuggenti, atmosfere morbide e perché no?, boccali colmi d’acqua in cui sembra riflettersi l’armonia, ma anche l’inquietudine, di una natura come poche tenera, carezzevole, e molto, molto umana. «Ho capito sai che cosa vuoi dire… vuoi dire che non puoi fare a meno di noi», dice la sorridente Sandra Milo, nel finale circense con la musica di Nino Rota e tutta la gente della vita di Guido che gli gira intorno e che – ora lo capisce, con gratitudine – fa parte di lui. Insomma, è la memoria: naturalmente un po’ amara e un po’ dolce, come i bellissimi garofani che sbocciano e poi ahimè appassiscono, come quelle colline un po’ morbide e un po’ aspre, come i nostri ricordi.
TESTO
Roberto Fedi