Scultore pistoiese che ha reso la città famosa nel mondo.
Ci sono due opere che caratterizzano l’arredo urbano nella nostra pianura, una a Pistoia in prossimità del sottopasso della Porta nuova e una che campeggia nella piazza di Quarrata.
Autore di queste due istallazioni è Agenore Fabbri, nato al Barba (Quarrata – Pistoia) nel 1911 e appartenente a quella schiera di scultori pistoiesi (Marino Marini fra tutti), che ha reso la città famosa nel mondo. La sua formazione avviene inizialmente alla Scuola d’Arti e Mestieri di Fabio Casanova a Pistoia, poi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e frequentando quella che Silvio Guarnieri chiamava “l’Università delle Giubbe rosse”, caffè storico fiorentino, dove ha la possibilità di conoscere letterati, pittori e scultori, con cui potrà confrontarsi ed arricchire la sua formazione culturale.
Nel 1934 si trasferisce ad Albissola dove, presso un piccolo laboratorio di ceramica, “La Fiamma,” acquisisce quella facilità modellatoria in cui è avvertibile l’influenza della scultura popolare toscana e che lo porterà a quell’espressionismo latente che caratterizza tutta la sua opera e che fa di lui, per il poeta Rafael Alberti, “lo scultore della rabbia e della materia furiosamente plasmata”.
Sempre ad Albissola viene in contatto con artisti come Arturo Martini, Aligi Sassu e, soprattutto, con Lucio Fontana con cui stringe un’amicizia che durerà tutta la vita. Nel primo dopoguerra, dopo una pausa dovuta al servizio militare, produce presso la manifattura Mazzotti opere importanti in ceramica e terracotta come “Donna del Popolo”, “Uomo colpito” e “La Madre” ed ha l’occasione di conoscere personalmente Picasso.
Nel 1947 la sua modellazione si fa più rabbiosa e carica di drammatico furore, sia nelle terrecotte policrome, in cui porta la materia di per sé povera a alti livelli espressivi, sia nei suoi tormentati bronzi, similari nella tipologia plastica. Successivamente la sua attenzione si rivolge alla valenza espressiva di materie come legni recisi e metalli, che segna e lacera fortemente per farli diventare metafora del disagio fisico-mentale, richiamando alla mente esperienze simili ed importanti dell’informale fatte da Fontana, Burri, Tapies, Fautrier e Dubuffet.
Dopo gli anni sessanta il senso del tragico riaffiora nelle sue opere e Fabbri rievoca immagini di donne atterrite, presaghe di angoscia e di morte, attraverso la separazione delle masse in piccoli volumi, che sottolinea con interventi coloristici e con tagli che lacerano la materia. Non si limita a rappresentare solamente immagini umane, ma coinvolge anche, per acuirne il senso del drammatico, ogni specie di esseri viventi, gatti feriti, belve, lupi, animali inferociti contro gli esseri umani (“Figura con gatto”, 1975) che diventano testimonianze e metafore crudeli di un mondo sotto l’incubo di conflitti atomici. Si dedica anche alla pittura avvicinandosi al movimento informale europeo e mette a punto un linguaggio di forte e tragica espressività. È anche disegnatore e nel 1967 illustra dieci poesie di Salvatore Quasimodo, con il quale instaura una profonda amicizia. Solo nell’ultima parte della sua opera sembra aprirsi alla speranza data dalla razionalità insita nell’uomo.
Agenore Fabbri è uno scultore che ha avuto in vita diversi riconoscimenti sia di critica che istituzionali. Nel 1938 riceve il premio Bagutta-Spotorno. Nel 1948 viene invitato alla Biennale di Venezia dove esporrà fino ai primi anni ’60; sempre nel 1948 è medaglia d’oro alla Triennale di Milano. Nel ’55 ottiene il Premio Internazionale a Cannes, mentre del 1957 è il premio di scultura a Spoleto e la medaglia d’oro al concorso Internazionale del Bozzetto di Padova. Nel 1981 riceve La Chiave della Città di Pistoia e nel 1983 ne diventa cittadino onorario. Muore a Savona nel 1998.
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TESTO
Leonardo Begliomini
FOTO
Tommaso Frasca
Archivio MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto