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Un uomo, un paese

Grande letterato di fine ‘800, ha scritto molte opere e, soprattutto, importanti dizionari della lingua italiana.

Castello di Cireglio è un “paesucciaccio” della collina pistoiese, adagiato su un’altura, nel bel mezzo di due propaggini montuose che si allungano verso la piana di Pistoia-Prato-Firenze.

Non è noto ai più per i suoi indiscutibili meriti: un clima favorevole, la salubrità dell’aria, una vista mozzafiato, il fascino di un isolamento plurisecolare che ancora conserva quasi inalterato nel reticolo di viuzze in ciottoli o in lastricato, nel sistema di piazzette dai nomi evocativi sulle quali si affacciano case dal sapore antico, nella sdegnosa solitudine di un campanile senza chiesa “con una campana benedetta da San Bernardino che viene sonata quando il vento brontola e minaccia burrasca”.

Sui libri di storia, Castello è rammentato solo per aver dato i natali a Policarpo Petrocchi (1852-1902), il famoso lessicografo autore di un fortunatissimo Dizionario della lingua italiana e di molte altre opere letterarie.

Eppure del suo borgo natio Policarpo conservava molto in sé: il culto del lavoro, un carattere indomito e poco incline ai compromessi, un’indole sanguigna e ribelle, ma nel contempo leale e franca, una mente libera e l’orgoglio delle proprie radici.

La vita di questo illustre figlio di Castello è stata sempre intensa e, a tratti, anche tempestosa.

I primi studi a Pistoia, poi, a 17 anni, la professione-missione di insegnante, prima a Milano, in seguito a Torino e ancora a Milano, dove scrive saggi, poesie, racconti, e si dedica a traduzioni, celebre quella dell’Assommoir di Zola, dalla quale trae grande fama.

In uno dei frequenti ritorni estivi all’indimenticato paese d’origine, rinsalda una relazione “colpevole” con Clementina Biagini, una donna sposata a un notaio pistoiese e madre di una figlia. Da lei avrà sei figli e sarà la compagna di una vita.

La metropoli lombarda subisce il fascino della parlata del giovane toscano, che si distingue per l’incessante lavoro di studioso di Manzoni, Dante, Carducci, anche se il suo impegno più intenso è rivolto alla pubblicazione di opere a fini didattici, prevalentemente per le scuole di ogni ordine e grado, onde divulgare il buon uso della lingua italiana. Nascono così il già citato Dizionario, vari testi di grammatica italiana, un Vocabolarietto di pronuncia e ortografia, numerose antologie di classici greci latini e italiani, nonché il Thesaurus, un’enciclopedia illustrata rimasta incompiuta.

Frattanto il suo rigore morale e intellettuale lo induce a duri scontri con la classe dirigente nazionale, accusata di umiliare l’istruzione e la cultura in genere, e non è risparmiata nemmeno quella pistoiese, cui il Petrocchi rimprovera aspramente il disimpegno nei confronti della collina e della montagna. Per dotare il suo paese dei servizi essenziali, s’impegna in prima persona: fonda la Società di mutua assistenza Onore e Lavoro (ancora operante), finanzia la costruzione di una strada di collegamento con la Modenese, di due fontane pubbliche di acqua potabile, di una scuola; insomma dimostra ad enti e istituzioni come si possano realizzare la modernizzazione di un paese fino ad allora “vera spelonca e tana immonda” e la promozione civile e sociale dei suoi abitanti, giungendo orgogliosamente a proclamare lo “Stato libero di Cireglio” come modello da seguire. Questo legame stretto con Castello trova anche forma letteraria, seppure incompiuta, in un’opera pubblicata postuma (nel 1972) e intitolata Il mio paese, in cui l’autore rievoca la vita di tutti i giorni, gli scorci, le figure, i drammi e le gioie semplici di questo paese; in una parola sola, l’anima.

Sarà l’ultimo atto d’amore di un “montanino pistoiese” nei confronti del suo nido natio.

Il virgolettato è tratto da opere del Petrocchi stesso.

 

Vocabolario universale della lingua italiana

Il Nòvo dizionàrio

Strumento fondamentale per propagare la lingua italiana nel paese alla fine dell’800.

TESTO – Andrea Ottanelli

Policarpo Petrocchi iniziò a lavorare al suo Dizionario nel 1880 e lo terminò nel 1891 realizzando nell’arco di una dozzina di anni un lavoro intenso e di grande fatica, dimostrando una notevole capacità di padroneggiare la lingua italiana e di possedere idee ben chiare su come impostare un dizionario che fosse al tempo stesso innovatore e alla portata di tutti.

Gli anni in cui Petrocchi porta a compimento la sua fatica sono quelli del soggiorno milanese, dove ha il suo lavoro fisso, affetti familiari stabili, è ormai noto per le sue pubblicazioni (tra queste le grammatiche a uso delle varie scuole) e compila la sua opera autobiografica Il mio paese, che uscirà postuma solo nel 1972.

In questo clima si dedica alla realizzazione del vocabolario che diverrà “assorbente” per la sua mole e l’impegno che richiede. La sua idea è quella di seguire le indicazioni di Alessandro Manzoni e quindi di realizzare un vocabolario basato sul fiorentino parlato e capace di divenire uno strumento fondamentale per propagare la lingua italiana nella nazione appena costituita, grazie a una diffusione capillare, specialmente attraverso la scuola.

Tentarono di percorrere questa strada con alterne fortune i dizionari compilati da Emilio Broglio e Giovan Battista Giorgini (1870-1897) e da Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1871-1875), ma certamente l’opera di Petrocchi è quella che più si avvicina alle indicazioni manzoniane e costituisce un testo realmente innovativo nel panorama dei vocabolari italiani.

Il Nòvo dizionario uscì a dispense tra il 1884 e il 1890 e quindi fu pubblicato in due volumi di 1285 pagine ciascuno, datati 1887 e 1891, ed è stato ristampato fino al 1931.

Contemporaneamente Petrocchi ideò anche un “sistema” di dizionari costituito da un’edizione scolastica pubblicata nel 1892, ristampata fino al 1962, e da un’edizione minima destinata alle scuole elementari unita e un vocabolarietto con un settore enciclopedico pubblicato per Vallardi nel 1895 e ristampato fino al 1969. I vocabolari petrocchiani hanno così accompagnato e sostenuto l’opera di alfabetizzazione e di scolarizzazione di intere generazioni di ogni classe sociale per oltre settanta anni.

Petrocchi impostò Il Nòvo dizionàrio universale in maniera originale dividendo ogni pagina in due parti: in una, superiore, registrò i lemmi della “lingua d’uso”, “delle varie città toscane, contadinesca e delle montagne toscane”, cioè quotidiana, e nell’altra le voci “fuori d’uso”, specialistiche, relative alle scienze, alle arti e ai mestieri.

Si tratta di una soluzione inedita per la lessicografia italiana, che ci permette di accedere alle conoscenze e alle sedimentazioni culturali popolari e codificate dell’epoca in vari campi poiché si spazia dalle voci dialettali, ai termini della cultura orale popolare, a quelli scientifici e delle arti e dei mestieri dell’epoca, frutto di una cultura tecnologica empirica, che l’opera di Policarpo ha conservato dalla dispersione del tempo.

 

TESTO

Maurizio Ferrari

FOTO

Nicolò Begliomini

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