La prima icona dell’Assisiate e dei suoi miracoli, tra misteri e documenti storici.
Tra le prime rappresentazioni di san Francesco di Assisi spicca per qualità e originalità la celeberrima tavola del pittore Bonaventura Berlinghieri, dipinta nel 1235 e oggi conservata nella chiesa francescana di Pescia. Una lunga e particolare storia, arricchita di tradizioni, leggende e religiosità, avvolge questa straordinaria opera che risulta l’unica firmata e datata da quell’artista lucchese, membro di una prolifica famiglia di pittori.
A Pescia la tradizione del culto relativo all’assisiate è molto sentita. La storiografia seicentesca, riprendendo alcune memorie dei primi anni del secolo XV, vuole che lo stesso Francesco nel 1211, durante un suo pellegrinaggio tra Lucca e Firenze, avesse soggiornato per tre giorni presso la famiglia valdinievolina degli Orlandi che fecero poi edificare una piccola cappella in ricordo del suo passaggio. La documentazione più antica di età medievale indica che già nel 1258 era ubicata a Pescia una chiesa intitolata a Francesco: le supposizioni storiografiche e le memorie popolari, insieme all’effettiva presenza dei francescani dalla metà del XIII secolo, hanno fatto sorgere l’idea che la tavola di Bonaventura Berlinghieri sia stata dipinta per la chiesa pesciatina. Addirittura alcune dicerie locali, alquanto peregrine, ricordano che il pittore avrebbe eseguito il ritratto quando il Santo si trovava in Pescia.
L’iconografia della splendida tavola a fondo oro – collocata sul terzo altare di destra – illustra san Francesco al centro con sei pannelli laterali, di cui due relativi alle storie della sua vita e quattro ai miracoli avvenuti dopo la sua morte. I due riquadri posti nell’area superiore di sinistra espongono l’episodio delle stimmate che Francesco ricevette sulla Verna e quello della sua predica agli uccelli avvenuta presso Bevagna (Perugia). Questi episodi sono descritti nella Vita prima (1228-1229) compilata da Tommaso da Celano (Celano 1190 ca. – S. Giovanni in Val de’ Varri, Tagliacozzo, 1260 ca.) e infine riportati nella Legenda Maior (1263) di Bonaventura da Bagnoregio. Gli altri quattro pannelli riguardano la rappresentazione delle vicende dei miracoli avvenuti sulla tomba di Francesco che Tommaso da Celano pone al termine della Vita prima a testimonianza della santità del Poverello: la guarigione miracolosa della bimba dal collo storto, la vicenda eccezionale dello storpio Bartolomeo di Narni, la scena dei lebbrosi e attratti, fra cui Pietro da Foligno e il fanciullo da Montenerola,la vicenda eccezionale dello storpio Bartolomeo di Narni, la straordinarialiberazione di una donna di Narni dal diavolo.
La raffigurazione successiva degli episodi chiarisce l’originalità e la finalità della narrazione pittorica; nella rappresentazione si esalta infatti la volontà di raccogliere i miracoli per testimoniare le virtù del Santo.
Gli eventi miracolosi da lui compiuti sono tutti in linea con il messaggio evangelico per cui si pongono le condizioni per l’effettiva canonizzazione di Francesco e si cerca in ogni modo di diffondere il suo messaggio originale rivolto ai poveri e ai malati. La sua figura appare per intero, in posizione eretta, al centro della tavola cuspidata come nuovo evangelizzatore, con le stimmate alle mani e ai piedi, in diretta continuità visiva con il primo episodio della Verna. In mano tiene il Vangelo per testimoniare la sua aderenza totale a Cristo, come nuovo apostolo. Il volto duro, con la barba ben disegnata, non espone certo la consueta visione conosciuta del povero di Assisi.
Nella tavola di Pescia prende quindi vita il vero volto di Francesco che con piena sofferenza e devozione al Vangelo si mostra con il saio, il cordone con tre nodi, i tre voti della Professione Religiosa: obbedienza, castità e povertà. Insomma se, come affermano gli storici, vi fu nei primi testi agiografici dedicati a Francesco incertezza e paura nel voler ricordare le stimmate e le tracce miracolose post mortem, nel contemporaneo se non anticipatore dipinto di Pescia non vi sono timori di questo genere e rimane pertanto molto chiara l’intenzione comunicativa dell’iconografia che espone con decisione le ferite alle mani.
Solo con l’ultimo restauro di Alfio Serra, avvenuto tra il novembre del 1981 e l’ottobre dell’anno successivo, si è rinvenuto, sotto la falsa aureola seicentesca, la vera forma del cappuccio con la punta a sinistra del volto; tale scoperta ha chiarito almeno la provenienza culturale dell’iconografia che risulta ascrivibile quindi all’umiltà dei conventuali minori. L’aspetto fisico come il volto rimanda perfettamente alla descrizione che ci offre Tommaso da Celano: «Di non grande statura, piuttosto piccolo che grande, egli aveva una testa non proprio grande e rotonda, un viso un po’ lungo e largo, una fronte liscia e piccola, occhi neri e limpidi, non grandi; capelli scuri, sopracciglia dritte, un naso regolare, stretto e diritto».
Nel secolo XVII i frati della chiesa pesciatina commissionarono a Alessandro Bardelli una coperta dipinta da apporre sulla tavola di Bonaventura, oggi posta nella Cappella dell’Immacolata Concezione. Nel clima della Controriforma, si pensò ad esaltare solo le sembianze del Santo togliendo alla vista dei fedeli le storie laterali. Si espose quindi Francesco contornato da una sontuosa cornice in oro, sorretta da angeli. Solo dopo la rimozione del quadro che contornava la pittura, avvenuta nel 1857, venne resa di pubblico dominio la bellezza e l’originalità integrale del dipinto, un unicum nel panorama della pittura medievale, capace di arrivare ai nostri giorni con una modernità davvero sorprendente.
TESTO
Paolo Vitali
FOTO
Nicolò Begliomini