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Dalla contemplazione alla forma

Le “Madri” e i ritratti dello scultore, ma anche gli alberi del disegnatore.

Raramente artista e opera si compenetrano in maniera così indistinguibile come nel caso dello scultore Valerio Gelli.

Dall’autunno 1979 al 1986 ho condiviso con lui l’ampio studio al numero civico 112 di via San Marco a Pistoia: lui occupava il piano terra e io il primo piano. Dopo aver percorso il lungo corridoio d’ingresso, dove schierati come soldati i suoi ritratti in creta e terracotta osservavano muti il mio passaggio, e prima delle scale per salire al primo piano, c’era la stanza dove lui lavorava ed era inevitabile che mi ci soffermassi ogni volta che entravo. La ripartizione tra noi degli spazi fu dettata dalle due nostre diverse sfere di attività: lui come scultore aveva bisogno di non sobbarcarsi la fatica di salire e scendere le scale con i consistenti pesi che i sacchi di creta e le sculture rappresentavano e io come pittore avevo bisogno di una maggior fonte di luce naturale per i miei dipinti.

Difficile è poter descrivere oggi il silenzio e l’atmosfera delle stanze dove lavoravamo, e che si affacciavano entrambe, da piani diversi, negli ampi orti e giardini retrostanti via San Marco. Forse in quegli anni di assidua frequentazione è stato maggiore il tempo che dedicavamo alle riflessioni sulla vita e sull’arte che alle nostre creazioni. In quei primi anni Ottanta lui aveva ripreso il tema delle ‘madri’ sedute in stretto dialogo col loro bambino, a cui si era già dedicato nei primi anni Sessanta. Tema scivoloso, ma in Valerio pretesto figurativo che evocando stilemi arcaici tendeva ad una essenzialità astratta evitando la retorica dell’iconografia materna per andare dritto a definire l’essenza del gesto della trasmissione della vita e dei valori.

Mentre lavorava alle sue sculture spesso gli facevo compagnia leggendogli delle poesie: ricordo quando ci sorprendevamo della modernità dei versi nelle Georgiche di Virgilio e convenivamo che l’arte, se veramente è tale, ha un valore assoluto indipendentemente dall’epoca in cui l’opera viene realizzata e ci piaceva constatare come la poesia di Virgilio e Dante non fosse meno moderna di quella di Montale, così come la pittura di Piero della Francesca non fosse meno essenziale e assoluta di quella di Mondrian.

In quegli anni Valerio si dedicava molto anche alla ritrattistica e il suo studio era frequentato da personaggi della cultura cittadina che vi si recavano a più riprese per lunghe pose. Mentre modellava le loro fattezze sulla creta intesseva fitte conversazioni sui temi più svariati, tanto sulle questioni dell’arte quanto sui massimi sistemi. Conversando, i modelli sopportavano meglio il peso imposto dalla fissità della posa, il che consentiva a Valerio di sondare la loro sensibilità, dato che nel ritratto ogni artista tende ad una rappresentazione non solo fisiognomica ma anche interiore del ritrattato. In quel periodo Valerio alternava la scultura al disegno e qui il tema non era tanto quello della figura umana, cosa naturale per uno scultore, ma ampie e leggere tessiture di fusti arborei allineati e fittissimi sui quali svettavano chiome altrettanto evanescenti: disegni bellissimi che definire sommariamente ‘di paesaggio’ sarebbe cosa impropria. Se avessimo veduto quei disegni così morbidi, quasi impressionistici, senza la sua firma, non avremmo potuto ascriverli alla mano di uno scultore, ancorché di modellato e non di scalpello quale è Valerio; quasi che nel disegnare quelle alberete, più inventate che reali, avesse necessità di alternare e sostituire le sue rappresentazioni umane ad un mondo altro dove rifugiarsi e ricaricarsi prima di riallacciare il dialogo sempre difficile con l’uomo.

E sembrano rispondere alla stessa necessità i numerosi e più recenti disegni dedicati alla tematica dei nidi di uccelli. Nell’attuale studio a piano terra di quella che fu la casa natale di Marino Marini, che occupa da vent’anni in via San Pietro sotto lo sguardo vigile dello stupendo ritratto della moglie Erminia, affida dal 2008 a questi disegni di nido (nido sereno, nido devastato, nido inquinato, ecc.) il compito di palesare agli umani i diversi esiti a cui la vita che ci siamo data ci può condurre: o la purezza dei valori a cui la nascita piena di aspettative ci ha promesso, o il baratro in cui il nostro arbitrio autodistruttivo può spingerci.

Valerio Gelli

La vita e l’arte

Valerio Gelli nasce a Pistoia nel 1932 da Giulia Coppini, casalinga, e da Iginio, falegname. Frequenta le scuole elementari e dimostra sin dalla prima infanzia una predisposizione al disegno. Il quartiere delle Fornaci prende il nome da due stabilimenti per laterizi nei cui forni, con la complice e benevola tolleranza degli operai, il ragazzo cuoce le sue prime piccole sculture di creta. Nella primavera del ’45 Valerio frequenta il parco Puccini di Pistoia, dove nella vicina casa di riposo, il cosiddetto ‘Villone Puccini’, è ospite anche lo scultore Corrado Zanzotto, che si dedica al disegno dal vero nel parco, affascinando anche il piccolo Valerio. Dall’ottobre ’46 alla primavera del ’49 frequenta la Scuola d’Arte in Via dei Cancellieri, diretta dal pittore Umberto Mariotti: sono suoi professori Pietro Bugiani, Alfiero Cappellini, Vasco Melani e lo stesso Corrado Zanzotto.

Durante il secondo anno scolastico, frequenta anche la fonderia pistoiese di Primo Capecchi, dove, acquisendo le tecniche di fusione ‘a cera persa’, completerà il ciclo di apprendimento per la realizzazione delle sculture in bronzo. Le sue prime impegnative sculture risalgono al ’48. Nel ’51 frequenta a Firenze i corsi della Scuola Libera del Nudo organizzati dall’Accademia di Belle Arti dove vi apprende anche la tecnica dell’incisione all’acquaforte.

Nei primi anni ’50 inizia a realizzare presso la pistoiese Fonderia Michelucci le fusioni in bronzo delle proprie sculture. Nel ’54 entra come assistente alla cattedra di disegno e storia dell’arte nel Liceo Scientifico di Pistoia. Fa la conoscenza della pittrice Egle Marini e di suo fratello gemello, lo scultore Marino Marini, e successivamente dell’architetto Giovanni Michelucci. Si susseguono negli anni le mostre personali e collettive di sculture, disegni e incisioni. Al 1988 risale la grande antologica di sue opere organizzata dal Comune di Pistoia. Dal ’94 ha studio a piano terra di quella che fu la casa natale dello scultore Marino Marini.

 

TESTO

Fabrizio Zollo

FOTO

Eleonora Chiti

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