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Mani di fate

Storia di un’arte, dalle prime attestazioni del 1300 ad oggi.

Cercare l’origine del ricamo sia in città che nel territorio pistoiese è alquanto difficile, anche se i documenti d’archivio riportano notizie di abiti, accessori, paramenti liturgici ricamati. Già dal XIV secolo la documentazione archivistica attesta che nei conventi le suore eseguivano ricami per le biancherie ecclesiastiche. Le leggi suntuarie, dalla prima emanata nel 1332 fino a quella del 1558, lasciano interrogativi su chi ricamava gli abiti muliebri e i restanti Statuti delle Arti, gli elenchi delle doti nuziali e quelli testamentari non rivelano mai notizie precise sulla tipologia delle ricamatrici: si può però supporre che a Pistoia operarono botteghe, conventi e specialisti in questo settore.

L’affermazione del ricamo avviene nella seconda metà del XVIII secolo, come risulta dalla “Relazione dello stato delle arti e manifatture” voluta dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1768, dove si legge: “Il genio per le manifatture eleganti, manifestato sempre dalle Donne Pistoiesi, che si sono distinte negli ultimi tempi in ricami ad Ago più eccellenti, finché sono stati favoriti dalla moda, ha applicato la loro industria da 30 Anni in qua alla formazione di Fiori composti di Bozzolo di Seta, e di Penne, che la vaghezza del colorito e la regolarità dell’assortimento, rende all’aspetto assomiglianti ai veri naturali. Servono questi non tanto per addobbo agli Altari nelle Chiese, quanto ancora per una parte del Vestiario Muliebre”.

Le riforme Leopoldine trasformarono i conventi femminili in conservatori d’istruzione e in scuole di carità dove si insegnavano le arti e i mestieri. Nella diocesi di Pistoia la riforma interessò vari conventi, mentre nei regolamenti delle nuove istituzioni, emanati nel 1785, sono prescritti “i lavori donneschi… cioè cucire, fare la calza, la maglia, merli, ecc.”. L’apprendimento delle tecniche del ricamo trovò ampi consensi durante il XIX secolo in quanto forniva alle giovani le abilità per svolgere lavori a domicilio dai quali trarre una fonte di sostentamento o d’integrazione alle quotidiane attività e permetteva loro di abituarsi all’ordine e alla disciplina. Tra Ottocento e Novecento nacquero anche scuole-laboratorio private, fondate da filantropi e nobildonne. Ciò portò alla riscoperta di ricami tradizionali, antiche tecniche e moduli disegnativi conosciuti attraverso la riedizione di modellari cinque-seicenteschi, ma ben presto integrati e modificati in senso più moderno.

In questo clima, nel nostro territorio nacquero le scuole di Lucciano, Casalguidi e Lamporecchio. A Lucciano, presso Quarrata, la contessa Gabriella Rasponi Spalletti aprì la scuola di merletti che intendeva dare un’opportunità di lavoro alle donne del paese. Da Quarrata all’inizio del XX secolo fu importato, da Nerina Fiaschi, a Santomoro e nella vallata della Bure il ricamo definito “punto Deruta”, produzione poi che si estese ampiamente nelle piccole località del Montalbano fino a Vinci. Un’altra scuola-laboratorio fu quella di “Merletti e lavori femminili”, fondata nel 1911 dall’americana Laura Merrik a Lamporecchio e subito corredata di regolamento. Fu creato un particolare punto, detto “di Lamporecchio”, la cui base era il punto riccio presentato come un solido cordoncino e caratterizzato dal suo lieve spessore uniforme che contorna le figure che si stagliano sulla tela. I disegni erano “speciali” e illustravano soggetti animali insoliti, tutti interpretati con un fresco gusto quasi primitivo, che proprio per questo destavano interesse e attenzione.

A Casalguidi, invece, la signorina Giuseppina Morelli, affiancata dalle sue sorelle e da Camilla Amari, aprì una scuola-laboratorio dove s’insegnavano antiche tecniche ricamatorie adeguatamente aggiornate. Ecco prendere forma il “punto di Casalguidi o di Casale” con il quale si creavano originali disegni che mettono in relazione due realtà presenti nella zona: quella contadina e l’arte romanica. Questo connubio è ricorrente nella decorazione medioevale e, forse, nella mente di colei che li ideò, i disegni potevano esemplificare le radici storico-artistiche di Pistoia.

Definito da Adele Della Porta “l’ultima e più aggraziata creazione del ricamo”, il punto di Casalguidi si caratterizza per il forte rilievo dei soggetti che ornavano manufatti destinati all’arredo e alla moda, accreditati dalla stampa e riconosciuti singolari quando venivano esposti alle mostre nazionali. All’Esposizione milanese del 1906 ottennero un grande successo, ribadito nell’annuale “Esposizione-Vendita di Lavori Femminili” di Torino del 1914 come rivela la cronista di “La Donna”, il 20 febbraio 1914: “La simpatica scuola di Casal Guidi espone una gran varietà dei suoi stupendi ricami eseguiti in rilievo su tela già lavorata ‘a giorno’; l’esecuzione dei fiori, dei frutti ne è accuratissima. E’ un genere differente da tutti gli altri…”. Il successo di questo tipo di ricamo, unitamente al punto antico, continuò invariato anche dopo la prima guerra mondiale, tanto che negli anni Venti Maria Maddalena de’ Rossi esportò questi ricami negli Stati Uniti.

Pistoia città del ricamo

Il ricamo oggi

La lunga tradizione del ricamo prosegue ancora oggi. Il ricamo di “Casalguidi” sopravvive grazie al “Club del Ricamo di Casale” e alla locale scuola di ricamo, che ha iniziato i suoi corsi nel 1996, sotto la guida delle insegnanti Manuela Chiti (figlia di una delle ultime allieve di Giuseppina Morelli) e Mirella Carobbi e sotto la presidenza di Bartolomeo Bardelli.

Nel 2004 ha aperto le porte il Museo del ricamo, ospitato al piano terreno di Palazzo Rospigliosi, diretto da Annamaria Michelon Palchetti e gestito dalle ricamatrici dell’Associazione Moica. La visita a questo Museo, unico in Italia, è necessaria per ripercorrere la storia del ricamo a Pistoia. Il Museo si compone di due sale in cui sono esposte testimonianze antiche e recenti di un’arte silenziosa ma fra le più raffinate per la quale Pistoia è nota in tutto il mondo. Nella prima sala sono esposti preziosi attrezzi per filare e per ricamare, affiancati da antichi esemplari e imparaticci che testimoniano l’arte ricamatoria a Pistoia e nel contado.

Un armonioso trionfo di colori irradia tutta la seconda sala. Qui, a rotazione, sono esposti paramenti liturgici appartenenti alle chiese cittadine, capaci di esemplificare la bellezza del ricamo in sete policrome, oro e argento, nonché la ricchezza di un vasto patrimonio di arte sacra che veniva realizzato nei conventi pistoiesi. Fra i vari e unici esemplari, il paliotto d’altare datato 1601 realizzato per la chiesa di Santa Maria delle Grazie, tornato al suo splendore dopo un lungo lavoro di restauro.

 

TESTO

Paolo Peri

FOTO

Nicolò Begliomini

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