Il capolavoro del maestro nella Pieve di San Michele Arcangelo a Ponte Buggianese
Giunti nel piccolo centro storico di Ponte Buggianese per la vecchia strada che proviene da Chiesina, dopo aver attraversato il ponte sulla Pescia, il portico della seicentesca pieve di San Michele Arcangelo accoglie l’odierno visitatore. Offriva un tempo riparo ai viandanti di quelle terre strappate al Padule, ai pellegrini che si recavano a chieder grazie all’immagine ‘miracolosa’ della Madonna del Buonconsiglio, ancor oggi venerata sull’altare barocco situato nella cappella al termine della navata destra. Fino alla seconda metà degli anni Sessanta, essa costituiva l’opera pittorica di maggior pregio artistico della chiesa santuario.
Nulla della facciata, dal sobrio linguaggio bicromo con colonne tuscaniche e frontone in pietra serena, lascia presagire dell’atmosfera interna: una volta entrati, la coinvolgente declamatoria di Pietro Annigoni (1910-1988) svela, come inatteso miracolo, le verità di fede attraverso il suo più completo ciclo di affreschi, eseguito fra il 1967 e il 1984 per iniziativa dell’allora parroco don Egisto Cortesi.
L’antefatto fu la rimozione, nel 1959, del vecchio organo dalla controfacciata della navata centrale: la parete, rimasta desolatamente vuota fece sorgere il desiderio di una decorazione a fresco; il dibattito in parrocchia sull’artista a cui affidarla si concluse nel 1967 a favore di Annigoni, pittore di fama mondiale ed ancorato ad una rigorosa figuratività, tanto da essere il ritrattista ufficiale della famiglia reale inglese.
Il Maestro, consapevole della valenza spirituale dell’opera (e della modestia di mezzi di don Cortesi) accettò l’incarico per un compenso simbolico. Eseguì una “Deposizione e Resurrezione” di tale potenza plastica ed evocativa che, in modo quasi ‘naturale’ – dato anche che Annigoni e i suoi allievi continuarono a lavorare gratuitamente – indusse a decorare anche gli altri spazi vuoti della chiesa: nel 1969 sopra le porte laterali, seguirono, guardando la controfacciata, il profeta Geremia a sinistra ed Isaia a destra: quest’ultimo estatico nella preveggenza della venuta del Messia, Geremia invece in catene, imprigionato per aver richiamato il suo popolo, saldo nella fede e ispirato nella visione profetica del Cristo risorto di cui aveva predetto la morte. Al centro il cadavere oramai staccato dalla croce, stagliato insieme ad essa contro un bagliore rossastro, affiancato da due angeli che suonano le trombe del Giudizio, mentre in alto, in un fulgore luminoso, la Resurrezione. In basso ai lati Adamo ed Eva, atterriti progenitori di un’umanità smarrita, assistono al prodigio divino.
Secondo un coerente programma iconografico, sull’asse di simmetria della chiesa fu poi dipinta l’Apocalisse (1974): una natura inquietante viene sconvolta dal passaggio dei cavalieri, ma al contempo rasserenata in alto dal fulgido, riappacificante Agnello mistico. Nel 1975, nel sottostante abside fu eseguita l’Ultima Cena, esemplata sui cenacoli fiorentini quattrocenteschi: il tavolo frontale, gli Apostoli che animatamente discorrono a gruppi, Cristo luminoso, assorto, mentre il muro di cinta alle spalle, oltre il loggiato, lascia intravedere un orto, allusivo probabilmente al Getsemani; nella scena dell’“Orazione” Annigoni si sarebbe più tardi cimentato (1979) sulla parete della navata destra, con ‘divino’ contrasto luministico nel gruppo Angelo-Gesù e mirabile scorcio prospettico negli Apostoli dormienti sull’erba. Potentemente illusoria anche la prospettiva con effetto di ‘sfondamento’ della cupola, dove il Maestro aveva nel frattempo dipinto la “Pentecoste” (1978) e gli allievi i “Quattro Evangelisti” (1978) nei pennacchi. Ancora sulle pareti laterali due eventi miracolosi, nella prima campata dalla controfacciata la “Resurrezione di Lazzaro” a destra (1977), la “Piscina Probatica” (1976) a sinistra.
Di rilievo anche gli altri affreschi degli allievi: l’“Annunciazione” (1967) di Romano Stefanelli, i “Simboli della Passione” di Fernando Bernardini (1974) nella cappella del Crocifisso (a sinistra dell’abside), la “Cena in Emmaus” (1967) di Silvestro Pistolesi, opera su pannello ora conservata in canonica. Ma soprattutto, l’uno pendant all’altra, due umili parrocchiani ‘si affacciano’, un devoto col berretto in mano a sinistra (Ben Long, 1974), una vecchia a mani giunte e ‘pezzola’ in testa (S. Pistolesi, 1974) a destra, assorti, stupiti che la loro chiesa di campagna si sia popolata di tanta bellezza.
TESTO
Claudia Becarelli
FOTO
Nicolò Begliomini