La Via Baiana, Baggio e il Museo del Carbonaio.
Natura, cultura e tradizione, questo il contesto all’interno del quale sorge la scuola dell’infanzia La Favola di Villa di Baggio, i cui bambini ci accompagnano in una passeggiata nel verde di Baggio, attraverso la via Baiana fino al Museo del Carbonaio, svelandoci, attraverso i loro occhi e le loro parole, uno spaccato poco conosciuto della nostra collina.
L’interesse dei bambini per le cose vecchie ha alimentato il desiderio di scoprire la storia e le storie del loro paese, andando così a intrecciare un filo invisibile fra la via Baiana, il Museo del Carbonaio e la loro scuola. Un filo che si collega all’operosità di un’intera comunità, che lavora intorno a percorsi rivolti alla tradizione, alla cultura locale, alla volontà di conservare e preservare forme di vita e di pensiero che potrebbero altrimenti diventare sbiadite e lontane nella memoria.
Come Gianbattista Vico chiamava rottami dell’antiquità usi, costumi e tradizioni del passato, utili a comprendere il presente, anche i bambini, nelle loro esplorazioni del Museo del Carbonaio colgono, con i loro sguardi e le loro parole, il valore degli oggetti conservati, che testimoniano storie di uso quotidiano: gli oggetti – dicono – sono un po’ vecchini, arrugginiti, un po’ rotti, anche delicati.
Sono oggetti usati, non per sempre e sono al museo perché non sono più usati! A colpire il loro immaginario è stata proprio la scoperta di una quotidianità altra rispetto a quella in cui vivono oggi: il museo è importante perché ci sono cose vecchie, possiamo vedere delle cose diverse!
Attraverso la loro curiosità e i loro pensieri, che guardano con stupore alle tracce del passato, si sono create le premesse per coniugare saperi e tradizioni, per tener viva la memoria di un luogo, delle sue storie e dei suoi antichi mestieri.
I bambini hanno potuto dare spazio, nuovo respiro e nuovo profumo alle piccole storie, ai racconti di un’epoca passata, alle suggestioni di un profumo
di altri tempi, come dice Alberto Nesi, ideatore del progetto di realizzazione del Museo.
Il Museo del Carbonaio è diventato luogo di conoscenza e di formazione, che ha fatto riflettere sull’utilizzo di utensili e attrezzi del passato ed ha sollecitato connessioni con il presente: sono oggetti usati fuori, nel bosco. Per fare la carbonaia e poi il carbone. Ci si può anche disegnare con il
carbone.
Prima che inventassero i pennarelli forse i bambini disegnavano con il carbone. L’ascia serve per tagliare gli alberi e la legna. La usano ancora ma ora usano anche la motosega.
La scarpina del Meo, il piccolo assistente dei carbonai, ha richiamato l’attenzione dei bambini, stimolando i loro interrogativi e le loro riflessioni: si usava tanto tempo fa? perché ha i chiodi sotto? il bambino forse andava nel bosco a raccogliere i funghi e le castagne? non andava a scuola e all’asilo? forse andava al lavoro?
Il percorso intrapreso con i bambini è diventato un’occasione di conoscenza e di ‘sperimentazione’ del territorio in cui la loro scuola è collocata, in dialogo con l’ambiente circostante. Lungo il percorso dell’antica via Baiana, la mulattiera che anticamente univa Baggio a Pistoia, è stato possibile inoltrarsi nel bosco, osservare i tratti caratteristici del luogo e del paesaggio, e fare anche un ricco bottino di castagne, foglie, rami e bacche: la strada è fatta di sassi, è un sentiero.
Serviva per camminare, non esistevano le macchine. Usavano il carro, o un cavallo, o un asinello. La Rosa mi ha detto che ci passava la contessa Matilde a cavallo!
Nei pensieri dei bambini le storie del quotidiano si sono intrecciate con quelle di personaggi illustri, su cui fantasticare, lasciando impronte per costruire un senso di appartenenza ad un mondo contrassegnato da attività operose, dal rapporto con la natura come dispensatrice di vita e di sostentamento, dalla cura della propria comunità e della propria storia.
Hanno partecipato i bambini della scuola dell’infanzia La Favola di Villa di Baggio, accompagnati dalle insegnanti Federica Freschi e Marcella del Prete.
TESTO
Federica Freschi
Marcella del Prete
FOTO
Nicolò Begliomini
I carbonai e il loro museo
di Martina Meloni
Un’arte, più che un lavoro, quella del carbonaio, che per decenni ha rappresentato la maggior forma di sostentamento delle popolazioni della montagna pistoiese.
Un lavoro duro, che portava gli uomini lontani dal loro paese e dalle loro famiglie per molti mesi dell’anno, un lavoro che si imparava fin da piccolissimi, quando, in veste di meo, i bambini accompagnavano gli esperti carbonai nelle lunghe e faticose migrazioni, per occuparsi della cucina e delle pulizie. La posizione della legna nella carbonaia, la sua qualità, il suo odore, la conoscenza dei venti, erano tutte strategie fondamentali per la buona riuscita del lavoro, che dovevano essere apprese fin dalla giovane età.
Le zone più battute dai carbonai della nostra provincia erano la Maremma, l’isola d’Elba, ma anche la Sardegna, la Corsica ed il Lazio, dove i gruppi di carbonai si stabilivano nei mesi invernali, trovando rifugio in piccole capanne fatte di legna e paglia.
Una memoria non sempre felice, come ci raccontano gli anziani che per tanti anni hanno portato avanti questa attività, ma che rappresenta senza dubbio una fetta importate della tradizione delle zone montane pistoiesi.
Un ricordo che si è voluto preservare e tramandare in molti modi, realizzando, ad esempio, il piccolo Museo del Carbonaio di Baggio, un vero tesoro nascosto nel verde della nostra collina. Un’ambientazione realistica e ben strutturata guida il visitatore fino all’ingresso: una carbonaia in sezione e ad una capanna accessibile al suo interno e minuziosamente allestita con utensili e attrezzi aprono la visita al museo, all’interno del quale sono documentati la vita e il lavoro delle popolazioni della zona attraverso scritti, oggetti e testimonianze di chi ancora può raccontare uno spaccato di storia e tradizione della vita della nostra montagna.
Per visitare il Museo chiamare:
Tel. +39 0573 46422, Mob. +39 338 7866205
Oppure www.museodelcarbonaio.it
Il maestro calzolaio
di Pierluigi Palandri
Il Museo del Carbonaio nasce nel 2001 da un’idea di Alberto Nesi, maestro, giornalista e scrittore nato a Baggio, ultimo borgo dell’alta Valle della Bure a nord di Pistoia, 83 anni fa.
Alberto ha iniziato giovanissimo a lavorare per giornali e riviste. Negli anni ‘60 ha collaborato al quotidiano di Firenze Il Giornale del Mattino pubblicando anche articoli e racconti per la terza pagina ed è stato per diversi anni corrispondente da Pistoia dell’Agenzia Italia. Maestro elementare fino alla metà degli anni ‘80, si è laureato in pedagogia all’Università di Firenze nel 1977 con una tesi su Lettera ad una professoressa e sul pensiero pedagogico di Don Milani, frutto di una lunga ricerca su giornali e periodici. Numerose le sue pubblicazioni, quasi tutte dedicate alla Valle della Bure di Baggio: Profumi di altri tempi. Usanze e mestieri che scompaiono (1988); Il Beccacendere. Vocaboloario della povera gente (1995); Fai la nanna coscine di pollo. Un racconto e 10 poesie (1997); Baggio e la Via Baiana (2000); Lavori affettivi. Venti storie straordinarie (2003); Il nuovo Beccacendere. Vocabolario dei carbonai (2010).
Ho conosciuto Alberto sul finire degli anni ‘80, chiamato nella scuola elementare in cui insegnava per una serie di incontri di educazione ambientale con i suoi alunni e quasi senza volerlo finimmo per parlare dell’ambiente incontaminato della sua Valle della Bure, del Poggione, della Badia a Taona, dell’Acquifredola, porte di accesso a quell’altrettanto integro territorio (La valle della Limentra) sul quale, con il WWF Pistoia, stavamo facendo ricerche e pubblicazioni.
E quello che mi colpì fin da subito, oltre al suo linguaggio chiaro e asciutto, fu la profonda conoscenza storico-ambientale di quella valle e la nostalgia ed il rispetto per i suoi abitanti, protagonisti, in altri tempi, di una vita durissima. Vita povera e sofferta, che Alberto aveva concretamente sperimentato quando, dopo le elementari, aveva iniziato a fare il calzolaio in paese, seguendo le orme del nonno, del quale conserva ancora il panchetto, le lesine ed altri attrezzi che servivano – come mi ha detto – a fare quelle scarpe che bastavano ai montanari, periodicamente risuolate, una vita intera. Storie di vita, molto lontane dalla percezione comune del nostro tempo, che Nesi ha appreso nelle lunghe sere di inverno quando andava a veglia attorno al fuoco dei camini nelle case degli anziani del paese o controllava il fuoco dei canicci ove si essiccavano le castagne.
Ed è appunto dalla volontà che la memoria di quella vita grama o di quegli antichi mestieri ormai quasi scomparsi, perduri nel tempo che Alberto ha scritto i suoi libri, testimonianza di un mondo popolato da volti segnati dalla fatica che sembrano raccontare le partenze autunnali per andare a far carbone in maremma o a tagliar boschi. Testi ambientati in un territorio ancora oggi integro, che conosce e descrive attentamente dal punto di vista storico e che vorrebbe veder valorizzato compiutamente dal punto di vista ecoturistico.
Vado a trovare Alberto appena il tempo me lo consente, nel borgo di Mengarone (media Valle della Bure) in cui oggi vive e ogni volta mi sorprende perché scopro, nel suo discorrere misurato, che ci sono momenti in cui la sua vita si è intrecciata con significativi avvenimenti storico-sociali e culturali della nostra società, momenti che non conoscevo. E questi per me sono i regali più belli che una amicizia può dare. Naturalmente questo personaggio straordinario non ha ancora finito di sorprendere chi conosce i suoi libri: è ancora una fucina di idee e chi sa se presto non vedrà la luce un’altra sua pubblicazione.