La consuetudine di celebrare personaggi della storia antica o recente come exempla di virtù e d’ingegno affonda le radici in quella tradizione classica, recuperata dall’erudizione illuminista, che torna particolarmente in auge nel corso del XIX secolo, quando, nel crescente desiderio di affermare la propria identità sociale, ogni comunità che dimostri opportuno senso civico sente il bisogno di dotarsi di un famedio o pantheon degli uomini illustri. A Pistoia il luogo deputato alla costruzione di un pantheon è la piazza San Francesco. L’antico «prato di Piunte», come veniva definito nei documenti medievali, è sempre stato infatti il luogo pubblico delle principali manifestazioni cittadine: riunioni politiche, feste religiose, tra cui quella di San Jacopo, giostre con i cavalli ed esecuzioni capitali si tenevano tradizionalmente nel grande «prato comune», costituito da una spianata erbosa di forma ellittica che saliva sul lato occidentale verso le mura urbane della terza cerchia. Il declivio era coperto da alberi ad alto fusto, disposti in modo irregolare, come è possibile vedere in un dipinto settecentesco conservato al Museo Civico di Pistoia, in cui il grande spiazzo, che aveva accolto un tempo folle di fedeli che assistevano alla predicazione dei frati, era popolato da eleganti cittadini in carrozza che celebravano il rito del passeggio domenicale.
Piazza San Francesco in un dipinto settecentesco conservato al Museo Civico di Pistoia
Nel 1811, durante l’occupazione francese, all’antico prato fu assegnato il titolo di Piazza Napoleone o Foro Bonaparte. Fu in quel momento che Francesco Tolomei, sindaco – o per meglio dire ‘maire’ – di Pistoia sostenne la necessità di abbellire la piazza e le strade circostanti. Il progetto, inizialmente affidato al pittore Bartolomeo Valiani e all’ingegner Antonio Gamberai, non venne realizzato e l’incarico di ristrutturare la piazza passò al cavalier Cosimo Rossi Melocchi, che presentò un nuovo disegno in cui una scenografica gradinata doveva raccordare la piazza con lo spazio al livello superiore, contiguo alle mura, dove l’architetto prevedeva la realizzazione di una grandiosa quinta scenica a far da sfondo al parterre, costituita da un maestoso pantheon neoclassico dedicato agli uomini illustri. Questo avrebbe occupato tutto il campo visivo con una lunga facciata aperta al centro da un loggiato con quattro colonne doriche, sormontata da un enorme frontone che copriva tutto il prospetto. Davanti al pantheon, filari di piante basse disposte con rigore geometrico avrebbero contribuito ad amplificare la facciata.
Il cantiere si aprì nel 1812, ma il grandioso disegno del Rossi Melocchi, benché apprezzato e ampiamente diffuso dallo stesso sindaco Francesco Tolomei, che lo pubblicò in un volumetto illustrato, si rivelò subito troppo costoso e destinato a restare sulla carta.
Intanto la piazza, a seguito di una sommossa popolare che mise in fuga il presidio francese, dopo la Restaurazione fu nuovamente intitolata a San Francesco d’Assisi.
In questo infuocato clima politico, i lavori del pantheon languivano. Si decise perciò di realizzare l’edificio in una forma molto ridotta rispetto a quella prevista. Le decorazioni interne furono realizzate da Bartolomeo Valiani, che raffigurò sulla volta della cupola simboli della fama e una teoria di geni alati e, alla base della calotta, in un fregio monocromo, scene riferite alla glorificazione degli uomini illustri.
La struttura fu completata nel 1827, ma l’edificio destinato a celebrare gli italiani illustri venne ridotto ad accogliere una “bottega di Caffè”.
La struttura fu completata nel 1827, quando ormai la situazione politica era profondamente mutata dal momento dell’ideazione del Rossi Melocchi, tanto che l’edificio destinato a celebrare gli italiani illustri venne ridotto ad accogliere una “bottega di Caffè”. Con quella nuova destinazione, tuttavia, il piccolo fabbricato inaugurerà una stagione felice per il parterre di piazza San Francesco, dove il caffè – concerto sarà luogo di incontri e di svago per molti pistoiesi.
Testo Laura Dominici
Foto Nicolò Begliomini