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Civiltà dell’accoglienza e arte immensa

Giovanni Della Robbia e Santi Buglioni autori di uno dei simboli più prestigiosi di Pistoia, posto sulla facciata dell’Ospedale del Ceppo.

E’ uno dei capolavori più significativi del Rinascimento toscano, tanto che, nel corso del tempo, è stato ed è considerato fra i simboli più prestigiosi della città di Pistoia. La storia del fregio dell’ospedale del Ceppo ha inizio nella prima metà del Cinquecento, quando il monaco certosino, Leonardo Buonafede commissionò a Giovanni Della Robbia la raffigurazione delle sette Opere di Misericordia, ammirabili, ancora oggi, da piazza Giovanni XXIII.

I Della Robbia, famiglia di scultori fiorentini attiva tra il XV e il XVI secolo, sono celebri in tutto il mondo per le loro terracotte invetriate policrome. Quello pistoiese, però, costituisce, per molti aspetti, un esemplare unico, se non addirittura il culmine di questa particolare tecnica. «Si tratta – sottolinea lo storico dell’arte Gianluca Chelucci – di un racconto per immagini di tipologia inedita, di un’invenzione che non trova eguali. Tra le altre opere della tradizione robbiana non ve ne è, infatti, nessun’altra che possa vantare la stessa completezza ed organicità».

L’opera fu realizzata tra il 1526 e il 1528 da Giovanni Della Robbia e dal suo allievo Santi Buglioni, nipote di Benedetto Buglioni, già autore, circa dieci anni prima, dell’Incoronazione della Vergine e del medaglione con lo stemma del Ceppo posto sulla facciata dell’ospedale.

Della Robbia

A Santi vengono attribuiti i primi sei pannelli del fregio, mentre Giovanni avrebbe modellato i medaglioni con scene di Vita della Vergine e lo stemma dei Medici. Con la sua morte e l’avvento della peste l’opera fu abbandonata, per essere portata a termine cinquant’anni dopo da Filippo di Lorenzo Paladini.

La fondazione dell’ospedale del Ceppo viene abitualmente fatta risalire al 1277 e deve il proprio nome ad un’antica leggenda pistoiese. La tradizione vuole, infatti, che la Vergine Maria, apparsa in sogno ai due pii coniugi Antimo e Bendinella, avesse ordinato di fondare un ospedale là dove fosse stato trovato un ceppo fiorito in pieno inverno. All’alba del XVI secolo l’istituzione, divenuta oggetto di aspre lotte tra le nobili famiglie dei Panciatichi e dei Cancellieri, venne infine assoggettata all’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Il controllo passò dunque nelle mani dello “spedalingo” fiorentino Bonafede, che volle ingentilire il luogo, già di per sé teatro di dolore e sofferenza e poi sede di scontri politici, con una grandiosa opera d’arte. «Il valore artistico e storico del fregio è indiscusso – continua Chelucci – ma esso si distingue soprattutto come una testimonianza umanistica universale, individuando nella bellezza e nella solidarietà i valori fondanti del vivere sociale, dell’idea stessa di città». Il fregio consta in una vivace striscia colorata, al cui interno prendono vita otto scene intercalate dalle virtù cardinali e teologali e da due Sfingi.

 

TESTI

Giulia Gonfiantini

FOTO

Fabrizio Antonelli

Nicolò Begliomini

 

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