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A piedi nudi sulla terra

Siamo venuti per parlare di Tiziano, il grande giornalista che ha percorso e raccontato i fronti di guerra asiatici e che ha poi scelto di concludere la sua vita proprio tra queste montagne; ma ci interessa soprattutto incontrare Folco, farci raccontare le sue giornate, le sue riflessioni sul mondo in cui viviamo, le idee alle quali è approdato nel corso del
cammino che continua a proseguire.
Seduti accanto a lui iniziamo ad ascoltarlo: “Qua siamo sul pianeta terra, sotto il sole, sotto le stelle. A Firenze non riesco a vivere: sono costretto a passarci alcuni periodi dell’anno, anche perché i miei figli vanno a scuola, ma non capisco la vita di città, in mezzo alle leggi dell’uomo, che sono inventate.
La libertà, per me, è stare nella natura. Mi alzo presto, quando canta il gallo, e guardo l’arrivo del sole. Nel corso della giornata, devo anche accendere il computer, dedicare una parte del tempo alla famiglia: ma cerco di concentrarmi
sulle cose grandi che succedono nel mondo.
Il sorgere del sole, appunto, e il suo tramonto. Il cielo stellato, lo scorrere dell’acqua del fiume nella quale posso lavarmi”.

una vecchia foto con Folco e suo padre Tiziano

La sua storia, Folco l’ha raccontata anche nella lunga introduzione scritta per il libro “A piedi nudi sulla terra”, pubblicato nel 2011 e ora ristampato.
È una storia di incontri e di ricerca.
Ha studiato filosofia a Cambridge, ma non ha ricevuto, da questo studio, ciò che cercava; neppure la scuola di cinema a New York ha soddisfatto le sue aspettative. La visione di alcuni asceti incontrati in India quando aveva 9 anni ha lasciato un segno destinato a riemergere nel tempo. Dopo New York, ha realizzato un documentario su un monastero tibetano: e gli si è aperto di fronte un mondo diverso e nuovo. Anche il periodo trascorso con Madre Teresa di Calcutta, durato sette mesi, è stato importante per lui. In “A piedi nudi sulla terra” ha scritto: “Ho sentito nostalgia di un altro modo di vivere”. E questo altro modo di vivere, che gli hanno mostrato i Baba tibetani, con i quali ha camminato sull’Himalaya, cerca ora di metterlo in pratica.
“Non è più tempo di scrivere o di discutere su ciò che è stato scritto. Mio padre, per esempio, ha detto e scritto cose che condivido pienamente. La mia vita la sento in continuità con la sua. Lui è venuto a morire qua ad Orsigna, io ci sono venuto a vivere. Ora però, più che le parole, contano le scelte concrete. Qua ad Orsigna, e chissà in quante altre parti d’Italia simili a questa, si vive in mezzo alla Natura, si riducono al minimo le esigenze, si va verso l’essenziale”.

Folco Terzani all’interno della gompa, costruita seguendo perfettamente il modello tibetano

Un cammino verso l’essenziale Folco ce lo mostra anche facendoci vedere i due spazi nei quali Tiziano ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita. Nella prima gompa, costruita seguendo perfettamente il modello tibetano, ci sono ancora i libri sugli scaffali, un tavolino, uno spazio per cucinare; nella seconda, nella quale concludere il cammino terreno, c’è solo un letto, per dormire e stare seduto, dal quale guardare l’orizzonte e i monti, dal quale allungare una mano per sfogliare un unico libro sul leggio o prepararsi un tè. Ma ce lo racconta, questo cammino, anche attraverso la propria esperienza: “La prima volta che sono arrivato in India da adulto ero equipaggiato alla perfezione, avevo uno zaino, la borraccia, le scarpe da montagna appena comprate; i monaci che incontravo, invece, non avevano niente e camminavano a piedi scalzi. O ero pazzo io o erano pazzi loro.
Ho capito che si può fare senza ciò che riteniamo generalmente necessario: loro sono sempre pronti a partire e a mettersi in cammino perché non hanno bagagli da portare, non possiedono niente, si affidano alla Natura e si fidano di lei”.

padre e figlio durante un’escursione sui monti dell’Orsigna.

Ci sono anche i compromessi da fare, naturalmente. Alcuni impegni da rispettare. Le email alle quali rispondere, visto che – per ora – la lotta contro il cellulare la sta vincendo lui, che non ne possiede uno e che quindi non è preso nel vortice delle chiamate e dei messaggi whatsapp. Con Elio Germano stanno facendo uno spettacolo, che presenta proprio il modo di vivere dei Baba tibetani. Il 20° anniversario della fine terrena del padre Tiziano lo porta a dover intervenire in incontri pubblici. C’è poi l’attività di scrittura, sempre più ridotta ma che tuttavia continua. Ma c’è soprattutto la convinzione della necessità di preservare gli spazi per la libertà. “Credo di essere un esperto di città, ho vissuto in tutte le più grandi città del mondo; vivendo in città, non capisci che fuori c’è un mondo più grande; le città sono costruite sulla terra, ma la terra sta sotto il cemento e rischiamo di dimenticarla. A me interessa la terra, ritrovarla, muovermi su questa a piedi nudi.
Perché devo frapporre un pezzo di plastica tra il mio piede e la Madre Terra? L’universo è eterno, noi facciamo parte di tutto ciò. Qua è più facile mantenere lo sguardo su questo: è invece difficile farlo in un appartamento in città, in una vita tra banche e supermercati”.
Mentre parliamo, Ana Baba, che è venuto dall’India per trascorrere con Folco un periodo all’Orsigna, sta cucinando nella stanza accanto.
“Ana” significa “cibo”. Si affaccia a salutarci e si ritira in silenzio. Si alza dal letto anche uno dei figli di Folco, felice di affrontare una nuova giornata, senza programmi precisi: forse aiuterà Ana Baba in cucina, forse andrà per i boschi, forse prenderà l’autobus per andare a giocare a calcio a Maresca.
Ci sono molti gradi sulla strada del ritorno verso la Natura: è possibile vivere una vita diversa anche senza diventare asceti.

L’esigenza di imboccare questa strada è oggi sempre più sentita: “Le persone, oggi, stanno sempre più male – riflette Folco –. Sono insoddisfatte, stanche. Corrono: ma per andare dove? Il futuro che ci mettono davanti interessa sempre meno: verso quel futuro sempre più persone non vogliono andarci”.
Prima di ritornare verso Pistoia, guardiamo insieme i monti che ci circondano: sono come le pendici dell’Himalaya, spiega Folco; poi, sull’Himalaya, dopo queste pendici e dopo uno strato di nuvole, emergono le cime bianche, che
sembrano navigare nel cielo. Non occorre andare troppo lontano per vivere in un modo diverso: “Qua – conclude Folco – si può fare questa vita, nel selvatico più che nel verde; non è più necessario andare in India o in Nepal”.

Testo Giovanni Capecchi
Foto Nicolò Begliomini – Alexey Pivovarov 00A GALLERY

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