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Germano Pacelli: l’artista partigiano

Germano Pacelli abita nella parte alta di Maresca. Salendo a piedi dalla parte bassa del paese, s’incontrano due sue opere: “Omaggio alla solidarietà”, addossata al muro laterale della chiesa di Maresca e il monumento ai caduti civili e militari di Maresca, voluto dalle associazioni paesane e realizzato dalle imprese Eredi Ciatti e Fratelli Cinotti, inaugurato il 28 agosto 1994.

Ricorda tutte le vittime della guerra: i partigiani, i civili morti nei pesanti bombardamenti su Maresca, quelli uccisi dai tedeschi e dai residui bellici, i militari caduti o dispersi in combattimento. Si capisce di essere arrivati a casa sua ancora prima di varcare il cancello. Si scorgono sue statue che sembrano attendere i visitatori: un uomo che suona il flauto, un uomo e una donna che accennano un passo di danza.

Le sue opere sparse sulla montagna pistoiese e soprattutto a Maresca, dove si trova la casa-studio
Dipinti e sculture per raccontare le violenze della guerra e inviare messaggi di pace

Germano Pacelli è un anziano signore che ha visto molto. Fu partigiano nella brigata Bozzi che operò sulla montagna pistoiese e emiliana. Della sua esperienza va a parlare nelle scuole e dovunque lo chiamino, infaticabile nel raccontare le vicende belliche e postbelliche di cui è stato protagonista. Non si sofferma sulle stragi, le vendette, le delazioni e le mille crudeltà a cui ha assistito: preferisce portare un messaggio di pacificazione. Volentieri racconta l’episodio che ha ispirato il gruppo “Omaggio alla solidarietà”. Ricorda ancora con commozione un gesto di grande solidarietà umana: l’offerta di alcune uova da parte di un gruppetto di donne di una borgata sopra Tereglio, in Garfagnana, che non avevano nient’altro da offrire ai partigiani affamati. Il monumento è composto da un piano di ferro con otto statue in bassorilievo eseguite in cemento.

Mentre il suo passato di partigiano è noto, in pochi, fra coloro che non abitano in montagna, conoscono la sua attività di pittore e scultore. È in questa veste che lo abbiamo intervistato. Non è recente, il suo amore per l’arte. Anzi, s’intreccia con il suo cammino di vita e di lavoro attraverso l’Europa del dopoguerra.

“Già a scuola disegnavo bene. Dopo la guerra andai a lavorare in Svizzera, dove mi appassionai alla fotografia e al disegno. Ebbi un incidente gravissimo: dovevo stare immobile molto tempo e così espressi a mia moglie il desiderio di avere a disposizione dei colori. Copiavo i grandi del Rinascimento, imparai la prospettiva e a produrre i colori naturali. A metà degli anni ’60 ritornai in Italia, a Brescia, dove lavoravo in fonderia. Lì proseguii la mia istruzione artistica frequentando un corso di disegno anatomico”.

Alla domanda su come seleziona i soggetti da rappresentare nelle pitture, risponde che sono i colori che dominano nella sua mente, e lui si lascia trascinare dall’emozione. Mostra i molteplici quadri, di vari periodi, finiti e non, esposti nella casa-studio. Quello a cui sta lavorando, posizionato sul cavalletto, ritrae la testa di un vecchio e di un bimbo, molto nero fumo illuminato dalla foglia d’oro. Fra le opere più recenti, molti ritratti di anziani e bambini in un silenzioso colloquio di affetti. Il soffitto della sala è affrescato con angiolini musicanti, un angelo nero fa mostra di sé in un angolo della stanza da bagno. Il tema dell’angelo è presente in molte opere di Pacelli. Mi spiega che gli angeli sono presenti nella vita di ognuno di noi, e ci aiutano nelle difficoltà; li vediamo solo se li vogliamo vedere.

Moltissimi quadri a soggetto naturalistico (paesaggi, fiori) ma soprattutto astratto. I colori s’impongono all’occhio di chi guarda, in tutte le loro sfumature. Usa varie tecniche: sulla tela anche tracce di elementi naturali come la terra, sassi, il nero del carbone ma anche la sfoglia d’oro, simbolo dell’incorruttibilità. Dipinge a tempera o acquerello, ma ha eseguito anche affreschi.

Spiega che dipinge ad occhi chiusi, vedendo con gli occhi dell’immaginazione. Per la chiesa di Maresca ha realizzato una Ultima cena, seguendo un impianto classico.

Gli chiedo quale arte, fra la scultura e la pittura, secondo lui dà più libertà espressiva. La scultura, risponde, per la sua tridimensionalità. Racconta che nei confronti dell’amico scultore pistoiese Giuseppe Gavazzi ha un debito di riconoscenza perché gli ha trasmesso preziosi suggerimenti tecnici per la realizzazione delle grandi sculture.

 

Attraverso la scultura, a cui si è dedicato a partire dagli anni ’50 e ’60, ha trovato il modo di esprimere le tragedie a cui ha assistito durante la guerra e la lotta partigiana. Nelle sue opere del passato troviamo l’idea di ricordare quanto è avvenuto durante la guerra, come per il monumento ai caduti militari e civili situato presso la stazione di Pracchia, o per quello di Maresca, che è accompagnato dalla speranza di pacificazione. Con il gruppo “Diario. Distruzione e ricostruzione”, infatti, Pacelli voleva ricordare la devastazione e la rinascita del suo paese in seguito ai bombardamenti che distrussero Maresca fra il 6 e il 10 settembre 1944.

 

Si tratta di un grande gruppo scultoreo composto da nove persone e un cane. Era stato pensato per essere collocato nel sentiero percorso dai marescani al ritorno dalla foresta del Teso, dove si erano rifugiati per sfuggire ai bombardamenti: e qui si è potuto ammirare fino al dicembre 2016. Poi, però, in mancanza di una collocazione definitiva, l’opera è stata acquisita dal Comune di Monzuno, sull’Appennino bolognese. Pacelli ha acconsentito al trasferimento del gruppo scultoreo, anche in considerazione del fatto che Monzuno è vicino a Marzabotto e Montefiorino, luoghi simbolo della lotta partigiana e delle stragi naziste. Così l’opera è stata inaugurata il 25 aprile del 2017.

Prima di congedarci, Pacelli mi mostra una “Pietà”, ancora da finire: segno di un’esperienza artistica che ha ancora molto da dire.

Testo di Susanna Carla Daniele

Foto di Nicolò Begliomini

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