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Giuseppe Mariani, un architetto pistoiese nella Sicilia del Settecento

la firma di Giuseppe Mariani (Archivio dell’Ordine Crocifero, Roma, 1444, 77, carta non numerata)

Nel 1702, a 21 anni, già viveva a Palermo, presso la chiesa di Santa Ninfa in via Maqueda, sede dei Crociferi in quella città. Nel 1704 era presente nel Noviziato dei Crociferi presso la chiesa di San Mattia dei Crociferi, nel quartiere della Kalsa.
Poi, nel 1707, per quattro mesi, fu a Roma, nella casa generalizia dell’ordine, presso la chiesa di Santa Maria Maddalena, non lontano dal Pantheon. Poco dopo, fece ritorno in Sicilia e si stabilì a Castellammare del Golfo, una delle città dove, successivamente, prestò la sua opera di architetto. Fu in quell’anno che, probabilmente, vennero stabiliti i suoi stretti legami con la Sicilia Orientale e con la zona di Alcamo, località nella quale realizzò il suo capolavoro, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
Il suo ritorno a Palermo, l’anno successivo, coincise con l’inizio della sua carriera professionale: la città, in quegli anni, stava vivendo un vero e proprio boom architettonico che le conferì l’aspetto barocco che ancora oggi la contraddistingue: Mariani fu uno dei principali artefici di questa trasformazione. L’intervento principale che realizzò fu quello inerente il completamento della cupola della chiesa di San Giuseppe dei Teatini, collocata presso i Quattro Canti di Città, nel centro geografico di Palermo. La chiesa era stata realizzata nei primi decenni del Seicento su progetto del teatino savonese Giacomo Besio, riprendendo, seppur conalcune modifiche, l’aspetto e l’assetto planimetrico della chiesa teatina genovese di San Siro, progettata da Andrea Riccio e nella quale lo stesso Besio aveva svolto il ruolo di collaboratore dell’architetto. L’edificio palermitano era completato quasi nella sua interezza ma la cupola mancava della calotta, essendo stata realizzata soltanto fino al tamburo.

particolare del registro superiore dell’interno della chiesa dei Santi Cosma e Damiano ad Alcamo

Mariani creò un’architettura di sapore piuttosto classico, che si ispirava alla cupola della chiesa madre dei Teatini, Sant’Andrea della Valle a Roma. Ancora in ambito palermitano, l’architetto pistoiese progettò l’interessante campanile della chiesa di Santa Maria di Montevergini, in cui l’uso di elementi architettonici desunti dal lessico borrominiano ci mostra quale fosse l’esuberanza del linguaggio architettonico di Giuseppe Mariani quando poteva operare svincolato dalla presenza delle preesistenze. La realizzazione del palazzo Cutò di Bagheria ci mostra come l’architetto fosse ormai richiesto non solo dagli ordini religiosi ma anche dalla nobiltà. La fabbrica, una delle più grandiose della cittadina, è caratterizzata dal grandioso belvedere, concepito per poter osservare da lontano i fuochi d’artificio che venivano lanciati per le feste che si svolgevano a Palermo. Accanto ad altre realizzazioni di minore interesse, come il santuario del Santissimo Crocifisso di Monreale, la Casa Crocifera e la facciata della Chiesa Madre di Castellammare del Golfo, le architetture più significative di Mariani furono la sua cappella privata, intitolata a San Giuseppe e collocata nella chiesa di Santa Ninfa Palermo, testimonianza dello status raggiunto dall’architetto e, soprattutto, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano ad Alcamo.
Appartenente all’ordine delle Clarisse, l’edificio è situato lungo la via principale della città ed esternamente ha un assetto estremamente dimesso che non fa percepire minimamente la complessità e la ricchezza dell’interno. Realizzata in un arco di tempo molto breve, tra il 1721 e il 1722, la chiesa è connotata da una pianta centrale che è un’esplicita derivazione da quella della chiesa borrominiana di Sant’Ivo alla Sapienza, a Roma. La figura dell’esagono sta alla base della composizione, dal momento che sei cappelle concave contribuiscono alla formazione della pianta.
Accanto all’ ambiente centrale sono collocati una sorta di ambiente di ingresso, a pianta quadrata, e il coro, di uguali forma e dimensione.

il prospetto meridionale e settentrionale allo stato attuale del palazzo Cutò di Bagheria.

Fondamentale appare l’utilizzo dello stucco bianco che, come nel precedente romano, assume il ruolo di protagonista assoluto nella decorazione dell’edificio. Negli angoli, delle paraste scanalate e rudentate sostengono dei capitelli corinzi molto fantasiosi, al di sopra dei quali è collocato un attico dal quale si dipartono dei costoloni che vanno a convergere nel centro della cupola. Si può, certamente, affermare che, con questa piccola e interessantissima architettura, nota quasi soltanto agli specialisti, Giuseppe Mariani realizzò l’edificio più compiutamente borrominiano della Sicilia. Per quanto figura nota nell’ambito delle ricerche di storia dell’architettura sulla Sicilia barocca, Giuseppe Mariani resta un personaggio piuttosto oscuro, poiché non si conoscono alcune tappe fondamentali della sua vita, prima tra tutte quella che sta alla base del suo trasferimento dalla Toscana in Sicilia. Anche nel panorama degli architetti del Barocco Siciliano, pur avendo realizzato opere di grande interesse, resta tutto sommato un personaggio assai poco indagato e conosciuto. Ancor più sorprendente è l’oblio in cui è caduto nella sua città natale: se Pistoia può vantare un discreto numero di importanti architetti che hanno operato nei secoli tra le sue mura, certamente, almeno prima del Novecento, è assai raro il caso di un pistoiese che mai ha operato in città e che invece è stato un artista importante altrove. Giuseppe Mariani, invece, è stato uno dei grandi toscani che hanno lavorato in Sicilia, insieme ai più noti, e fiorentini, Giulio Lasso e Francesco Camilliani.

Testo Costantino Ceccanti

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