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La verità della luce

Anticamente la chiesa di San Paolo era orientata, cioè con l’abside disposta ad est, come la maggior parte delle altre chiese dedicate agli apostoli che circondavano la città.

Era stata edificata – si pensa intorno all’VIII sec. – parallelamente alle mura della seconda cerchia costruita tra il XII e il XIII sec. La chiesa originale era più piccola dell’attuale, poi fu ampliata nella prima metà del Trecento e la sua disposizione fu modificata in modo da coprire lo spazio ricavato dall’abbattimento delle mura in seguito all’assedio del 1306.

Ecco il motivo per cui ancor oggi la chiesa presenta l’abside a nord, il suo fianco destro ad est e quello sinistro ad ovest. Nella decisione dei costruttori del tempo dovettero influire diversi motivi. Non solo quello per cui una fabbrica di queste dimensioni aveva bisogno di un terreno piano per essere sviluppata in lunghezza, cosa che sarebbe risultata di difficile attuazione se si fosse mantenuto l’orientamento originale; ma anche perché le finestre del lato posto ad oriente avrebbero portato più luce all’interno dell’edificio. Ma non era solo una questione d’illuminazione, cioè non era solo una questione tecnica, era soprattutto una questione teologica, perché la luce rappresentava Dio, la verità, e la finestra era il veicolo che metteva in relazione l’uomo con l’essenza divina.

In questo contesto dobbiamo comprendere il ciclo di vetrate policrome ideate da Umberto Buscioni per la parrocchia di San Paolo, in accordo con la Soprintendenza competente e finanziato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.

Già nel 1992 l’artista aveva terminato la prima opera di quello che si era configurato come un lavoro complesso e prolungato nel tempo. Per la vetrata absidale egli raffigurò la Conversione di San Paolo, che fu subito elogiata (ricordo gli scritti del tempo di James Beck, ma anche di Siliano Simoncini che in tutti questi anni ha assistito l’artista nel lavoro di realizzazione delle vetrate) per la sua originalità iconografica e per le soluzioni tecniche adoperate in un’impresa che non doveva esser facile. Immaginatevi. Rappresentare la Conversione di Paolo – che durante il viaggio sulla via di Damasco viene avvolto da una luce che lo getta a terra dove ascolta la voce del Signore che lo chiama – in uno spazio così ristretto! Buscioni adottò una soluzione tutta incentrata sulla caduta, sul ribaltamento, inteso come conversione totale dell’uomo Paolo di fronte alla chiamata di Dio. I cieli innumerevoli, infiniti, entro cui appare la mano dell’Eterno (così come appariva nelle rappresentazioni medievali: come figura retorica, una sineddoche, cioè la parte per il tutto, quando spunta dal cielo nell’atto di ordinare o di chiamare a sé) sono nuvole in trasformazione, anch’esse, come le ore del giorno, in continuo mutamento. Rispetto alle grandi vetrate del passato, tutte rivolte alla dimensione interna degli edifici, Buscioni ha lavorato con il dato ambientale della chiesa cercando una relazione di equilibrio fra interno ed esterno, scegliendo di adoperare vetri dalle tonalità chiare che diffondono la luce e dilatano lo spazio circostante. Sono opere di luce che dialogano con ciò che sta dentro, ma anche con ciò che sta fuori, con la realtà mutevole dell’ambiente esterno: l’utilizzo dei colori tenui e il fatto che non siano stati inseriti doppi vetri di protezione comporta che la luce entri a far parte della materia stessa del vetro. Una nuvola che passa in cielo determina una variazione cromatica, la luce incide secondo il trascorrere delle ore e delle stagioni, la pioggia crea giochi di rifrazione e si deposita sul vetro con piccoli rivoli d’acqua. Queste caratteristiche non sono possibili nelle vetrate tradizionali del passato, dove lo spessore dei vetri, i colori profondi e uniformi e le schermature di contenimento ne fanno delle composizioni pittoriche, come se fossero mosaici di colori attivati dalla luce.

Il cielo è il tema centrale del ciclo. Nella prima vetrata, dedicata al santo eponimo della chiesa, il cielo si apre, si rivela, ed investe l’uomo che accogliendo questa luce dà vita alla sua trasformazione. Nelle quattro monofore laterali il cielo è donato all’uomo. Ognuna di esse rappresenta un momento del giorno: l’alba, il giorno e il pomeriggio sul lato orientale, la notte su quello ad occidente; secondo un andamento ascensionale che, dalla terra al cielo, indica una visione progressiva della condizione terrena e divina dell’uomo. Sono vetrate quasi monocrome contenenti ognuna un fiore mistico, un fiore mariano.

La prima monofora di destra contiene i colori e il fiore della rosa, che nella mistica cristiana è legata al sangue di Cristo, quindi della passione, ma anche alle litanie della Madonna, al cosiddetto rosario, alla natura immacolata di Maria; per questo associata all’alba, come nascita del giorno e come prima manifestazione della divinità che scende sulla terra.

La seconda a destra rappresenta l’aquilegia, attributo della Santità di Maria, associata al giorno, pervaso dalla luce del sole nelle tonalità calde dei gialli che irradiano all’interno della chiesa con calore e luce diffusa.

La terza, in fondo nel transetto, riporta un giglio che è simbolo di purezza e di castità. Un giglio recò in dono l’arcangelo che portò l’annuncio a Maria ed in questo caso il fiore è associato al pomeriggio, come se l’andamento del sole, da est ad ovest seguisse un percorso di rivelazione del divino sulla terra.
L’unica vetrata ad occidente, quella della notte, raffigura un iris, associato all’Immacolata Concezione, tra le stelle che compaiono fra le nubi di un cielo pervaso dalla tenue luce della sera. Una notte che non è oscurità, che non è smarrimento, una notte alla sommità della quale arde una fiamma, perché anche nella notte più oscura, si trova una piccola luce.

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Il presbiterio con la conversione di San Paolo; la realizzazione della vetrata; bozzetto del progetto.

Il rosone, recentemente posto in opera, termina il ciclo. Qui il cielo è eterno, nella rappresentazione della Gerusalemme Celeste secondo la visione dell’Apocalisse: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più” (Ap 21,1). L’angelo lega il cielo alla nuova Gerusalemme tramite un nastro rosato, mentre sulla destra scorrono le acque di un fiume “d’acqua viva limpida come cristallo” (Ap 22,1); a sinistra l’albero della vita coi suoi frutti; e al centro il simbolo della vittoria sul male e sulla morte attraverso la rivelazione della luce di Cristo raffigurato dall’agnello. Questa è la promessa con cui si concludono le vetrate, le quali non sono solo un itinerario simbolico e una visione mistica di vera bellezza rivolta alla comunità dei fedeli, ma anche un apparato di altissimo valore artistico che oggi rende la chiesa di San Paolo una delle architetture monumentali più importanti della città di Pistoia.

 

TESTO
Lorenzo Cipriani
FOTO
Nicolò Begliomini

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