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La villa di Montebuono: sogno di fasto settecentesco

                   Il territorio intorno a Montebuono fu teatro di un tragico evento

Con queste parole Milziade Ricci, essendone stata ospite nel 1931, ci descrive l’incanto nel varcare il salone della villa di Montebuono, conosciuta anche come Villa de’ Franceschi.

Le origini della villa, che si trova nella piana occidentale di Pistoia, in un’area densa di prestigiose residenze di campagna, risalgono al ‘300 e si legano a uno dei nomi più noti del territorio pistoiese: la famiglia Panciatichi. Più precisamente la fondazione del complesso si lega a Vinciguerra Panciatichi, che avrebbe fatto edificare Montebuono, oltre al famoso palazzo cittadino, a seguito del suo rientro in patria nei primi anni del 1300. Purtroppo, non sono presenti veri e propri documenti che attestino con precisione la data di costruzione, quindi non è possibile ricostruire precisamente come fosse strutturato il nucleo originario.

                     la loggetta che dal salone si affaccia sul giardino all’italiana

La villa, come la vediamo oggi, è il risultato di varie trasformazioni e stratificazioni, evolvendosi da fortilizio a dimora di campagna signorile. Le trasformazioni più degne di nota furono volute da Francesco Panciatichi, influente personaggio del suo tempo, che ricoprì la carica di segretario del Granduca Cosimo III dal 1682. La frequentazione della corte medicea lo portò a entrare in contatto con gli ambienti più raffinati del Granducato e ad avere una forte necessità di adeguare i propri possedimenti ai gusti e agli standard cortigiani del tempo. Nello stesso periodo si assiste, infatti, all’edificazione di molte ville nel contado e, proprio sull’onda di questo gusto, anche il possedimento nella zona di Barile viene trasformato in una dimora signorile e casino di caccia.
Le contese testamentarie dei Panciatichi portarono una delle ultime eredi della famiglia, donna Tommasa, a vendere la proprietà al generale napoleonico Jean Baptiste de Franceschi nel 1811 per la cifra di 294.000 franchi, riservandosi però, la possibilità di continuare ad abitarvi fino alla sua morte. Tale cessione documentata riporta che al tempo consisteva di 45 stanze totali, più vani e strutture di servizio.

                     Giuliano Gatteschi – Disegno della villa di Montebuono – Fondo Chiappelli

Le varie fasi della costruzione sono rappresentate emblematicamente da affreschi del 1893 ad opera di Ghelardo Ghelardini, realizzati al piano inferiore della villa, in quella che in precedenza era la camera del fattore e che fu adibita dal De’ Franceschi a salottino.

Il Salone che tanto colpì la poetessa Ricci è posto al piano nobile ed è raggiungibile dal grande scalone a doppia rampa, posto sulla facciata principale, dove troneggiano gli stemmi delle due famiglie che hanno posseduto la villa: quello Panciatichi, sulla base della scalinata, e quello dei De Franceschi, sopra il portone.
Proprio attraversando questo portone si entra nel salone completamente affrescato in modo illusivo, con sfondati tipici del barocco che creano una macchina prospettica particolarmente riuscita e suggestiva. Questo artificio trasforma la qualità dello spazio, supera i limiti dell’architettura reale e rafforza il rapporto fra architettura e natura, già consolidato con l’asse visivo e prospettico tra il parco a nord e il giardino a sud. Sulle pareti del salone è dipinta una galleria sorretta da colonne di marmo, affiancate da figure allegoriche su piedistalli che rappresentano le quattro stagioni.
L’opera doveva essere completata nel 1692, come testimonia una lettera fra due fratelli Panciatichi nella quale si ricorda il pagamento già avvenuto per salone e loggia, e fu realizzata dal pittore Giuseppe Tonelli, allievo di Jacopo Chiavistelli, maestro degli artisti di corte fiorentini nelle quadrature.
Proprio il Salone nel 1941 vide uno degli eventi più noti di quegli anni, le fastose nozze tra il conte senese Rolando Bocchi Bianchi e l’ultima erede della famiglia De Franceschi, la “Baronessina” Maria Clorinda. Per l’occasione furono pubblicate delle cartoline ancora visibili nella biblioteca Forteguerriana, che ci sono ancora oggi testimonianza dell’aspetto del salone con gli arredi che vi erano presenti. La Baronessina si adoperò strenuamente per preservare e salvare il patrimonio di famiglia soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, addirittura conservando intatto l’appartamento del Generale napoleonico, così come lui lo aveva lasciato nel 1812.

                                    Il Salone della villa di Montebuono

Il territorio intorno a Montebuono, qualche anno più tardi, fu teatro di un ben più tragico evento del tempo, celebre e triste pagina nella storia partigiana pistoiese: l’uccisione di Silvano Fedi avvenuta il 29 Luglio 1944. Silvano cadde in un’imboscata tesagli dai tedeschi e nel successivo conflitto a fuoco morì insieme al partigiano Giulietti presso la croce di Vinacciano.

Oltre al salone vale la pena citare alcuni ambienti della villa in cui è un piacere perdersi, tra elementi prestigiosi come la piccola e nascosta cappella privata, lo scalone interno, le camere, le alcove, i salotti, tutti decorati da affreschi o con carte da parati, ma anche elementi affascinanti come la stanza del guardaroba, con il suo armadio su misura che nasconde porte e scalette, o la cucina con il suo camino sorretto da colonne, che occupa quasi un’intera parete.
Prima di lasciare Montebuono è d’obbligo affacciarsi dalla loggetta che dal salone si affaccia sul giardino all’italiana, con la sua fontana centrale, e sulla campagna circostante, in un completo dialogo con la decorazione barocca voluta dai Panciatichi e con i temi bucolici raffiguranti scene di ninfe e satiri; la presenza di elementi come cornucopie, frutta e fiori, e monocromi con putti, rimandano alla funzione produttiva della villa di campagna.

E, circondati da arte e natura, possiamo lasciarci di nuovo incantare e concludere la nostra visita alla villa come l’abbiamo iniziata: con le meravigliose parole di Milziade Ricci, che ricorda le vetrate della loggia che si affacciano “sul quieto e colorito giardino, avvivato dal lento chioccolio delle vasche”; e aggiunge: “i polmoni bevono a Iarghi sorsi il profumo che vibra dalle piante balsamiche; mentre lo spirito si esalta, in silenzio, nella contemplazione dei festevoli poggi, nitidi e freschi come ghirlande, nel diafano incanto dell’ora prossima al meriggio”.

Testo Beatrice Landini, Niccolò Maccioni, Gruppo FAI Pistoia

Foto David Dolci Associazione Convivio OdV

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