L’esempio più significativo è fornito dalla produzione della “GRANATA DI SAGGINA”, ma la granata che hanno conosciuto i nostri nonni e che ha dato tanto benessere e rinomanza al nostro paese, sia in Italia che all’estero, non è quella “ancella” domestica che conosciamo attualmente, fatta con supporti e fibre sintetiche, ma è quella di saggina o “saina”, formata da principio di tre fascetti di peduncoli ricavati dalle infiorescenze con semini chiamati “granuli” da cui il nome di granata (pianta estiva della specie Scrghumme Sacharitum).
Quei filamenti dopo essere stati inumiditi ed insolfati per renderli più chiari e delicati, venivano tenuti insieme a mazzetti di tre da corde di salcio con infilato un manico di legno, generalmente di castagno, per agevolarne l’uso.
punzonatrice manuale di nuova generazione ZPARD Zahoransky
In seguito, quell’utensile per spazzare solai, aie, cortili divenne un manufatto artigianale più elaborato, più decoroso, quasi un oggetto artistico ed ornamentale, necessario ed importante, tanto da suggerire aneddoti, rappresentazioni sceniche, composizioni musicali e poetiche.
Esso era costituito da un bastone/ manico di pino o di faggio, a cui veniva legato con filo di ferro (da granate) un mazzo di quei peduncoli che dopo la legatura si allargavano a raggiera per la presenza all’interno di un bustino fatto con i gambi della pianta chiamati “sonali”. Questo mazzo di fibre raccolto in un anello di ferro veniva schiacciato in una morsa per divaricarlo e per mantenerlo in quella foggia schiacciata (per servire meglio all’uso), venivano fatte delle cuciture a filari successivi con spago rosso, verde e blu. Nei tipi di lusso venivano colorati anche la saggina ed i manici con i colori verde, arancio e giallo di anilina.
punzonatrice manuale verticale Borghi
Nella parte finale del manico venivano applicate guarnizioni di velluto colorato e l’etichetta con l’indicazione della casa produttrice.
L’attività produttiva odierna deriva dunque da una vecchia tradizione, anche se oggi la saggina ed il legno sono stati sostituiti dalla plastica, materia che consente di realizzare qualsiasi oggetto con facilità ed economia, grazie alle buone proprietà fisiche e meccaniche che possiede.
Prima della macchina, le donne cucivano le scope, una ad una, spingendo, con le mani protette da una striscia di cuoio, un ago in una pressa che sosteneva la saggina. All’inizio degli anni ‘50 si ha la più significativa rottura della lavorazione delle granate con la “Baltimora”, la prima macchina per la cucitura di granate di saggina.
Negli anni ‘60, un brevetto ha modificato completamente il modo di “costruire granate”. Dalla granata di saggina siamo passati alla granata di filamenti di plastica, tenuti insieme da collante in un bustino, anch’esso di plastica: la “Zenith”. Dalla “Zenith” alla scopa punzonata il passo è stato breve.
Le nuove tecnologie hanno permesso la costruzione di macchine che foravano il supporto ligneo della scopa e contemporaneamente vi inserivano, per mezzo di “punzoni”, pizzicotti di fibra tenuti insieme da una graffa metallica. Il passo successivo si è avuto quando il supporto ligneo è stato sostituito, per motivi economici ed estetici, da supporti in poliuretano espanso.
Con il progresso tecnologico, i produttori di macchine punzonatrici hanno ricercato soluzioni sempre più automatizzate che hanno in seguito perfezionato ed accelerato i processi di lavorazione e la possibilità di adeguamento alle maggiori e sempre più pressanti richieste di mercato: sono nati i “robot” che, accompagnati da “rasatrici” e “piumatrici”, hanno fatto della granata quell’oggetto che è oggi nelle nostre case.
brevetto – datato 1956 – concesso ad un’azienda larcianese per la realizzazione di una scopa con fibre incastrate a forza e incollate su busto in legno
testo Associazione Pro Loco Larciano
foto Nicolò Begliomini, Neri Geom. Alessandro & C. s.a.s, Fass Spa