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Legati da una reliquia

Dopo che lo sguardo ha vagato nell’animata festa di colori e personaggi delle Storie della Vergine, magistralmente affrescate da Agnolo Gaddi nella Cappella della Cintola del Duomo di Prato, oltre il filtro discreto e prezioso della cancellata rinascimentale di Maso di Bartolomeo che protegge la cappella si intravede, isolato, il ricco altare settecentesco in marmi pregiati, con imponente gradino in argento che sembra far ala per dar risalto, al centro, a una statua marmorea della Madonna col bambino, di dimensioni contenute, ma un grande capolavoro di Giovanni Pisano.
La scultura non è legata a eventi prodigiosi, diversamente da altre venerate immagini mariane intorno alle quali sorsero dei santuari (ben quattro a Prato: Carceri, Soccorso, Pietà e Giglio), ma è ugualmente molto cara ai pratesi, perchè costituisce fin dall’origine l’elemento visibile che segnala la presenza della reliquia del Sacro Cingolo, la cintura della Vergine, racchiusa nell’altare sottostante e mostrata solo cinque volte l’anno (Natale, Pasqua, 1° maggio, 15 agosto e 8 settembre).
E come Madonna della Cintola l’immagine è da sempre invocata.

La Cappella della Cintola nel Duomo di Prato, 1385-1395, protetta dalla cancellata rinascimentale di Maso di Bartolomeo e ornata dagli affreschi di Agnolo Gaddi

Le dimensioni derivano dal fatto che la scultura fu creata per ornare un piccolo altare (1292), sul lato sinistro del coro, che custodiva il Sacro Cingolo; solo nel 1395 fu posta nell’attuale Cappella, appena completata, come coronamento dell’altare (poi rifatto nel Settecento).
Fin dal XIV secolo la venerata immagine si presentava coperta per devozione con vesti e mantelline preziose, impedendo così a lungo di apprezzarne le forme e l’altissima qualità, tanto che solo nell’Ottocento fu riconosciuta come opera di Giovanni Pisano, e tra i più alti raggiungimenti del geniale artista.
Tradizionalmente la scultura veniva datata intorno al 1312 (anno in cui avvenne un tentato furto della sacra Cintola e fu decisa la realizzazione dell’attuale transetto della chiesa), ma rispetto alla solenne classicità delle opere del Pisano di quegli anni – come le Madonne di Pisa, Genova e Berlino -, la nostra statua, con bellissime, diversificate vedute di fianco e sul retro, sembra più vicina al drammmatico dinamismo del Pulpito di Pistoia (1299-1301), caratterizzata come quello da una forte spiritualità e tensione.

Veduta aerea della Cattedrale di Santo Stefano a Prato (XII-XV secolo) (fototeca Ufficio Beni Culturali Diocesi di Prato)

La scultura è come animata da un moto ascendente creato dalle ampie pieghe del manto, che conduce lo sguardo a risalire la figura seguendo questa linea di energia compressa, che si scarica nell’intenso, sereno colloquio di sguardi tra Madre e Figlio.
La Vergine, che tiene il Bambino sul braccio sinistro, sostiene col destro l’ampio mantello regale, che la avvolge con pieghe profonde e nervose, stringendole la veste subito sotto i seni, nella zona solitamente destinata alla cintura. Questa non è presente – diversamente da quanto avviene in quasi tutte le Madonne del Pisano – per ribadire, ricollegandosi alla tradizione pratese, che la cintura mancante sia quella consegnata dalla Vergine a san Tommaso durante l’Assunzione, poi giunta fortunosamente a Prato: proprio la reliquia conservata nell’altare sottostante la statua.
Il Bambino, col braccio destro alzato, pone la corona sul capo della Madre, con un gesto consapevole e sicuro. La scena può così essere letta come un’originalissima Incoronazione della Vergine, e raffigurerebbe con umanissima sensibilità (come suggerì M.G. Trenti Antonelli) il momento – subito seguente all’Assunzione – dello struggente ricongiungimento celeste della Madre col Figlio, che la incorona Regina del Cielo.

Incisione del 1795 con l’altare settecentesco della Cappella della Sacra Cintola coronato dalla statua della Madonna ornata da vesti ricamate

Al gesto del Bambino si ricollega da sempre una fantasiosa, tenera tradizione, assai cara ai pratesi: durante il tragico, luttuoso Sacco di Prato del 1512 (il saccheggio della città operato da truppe spagnole filomedicee), un Moro mercenario, saltato sull’altare, avrebbe tentato di rubare la corona posta sulla testa della Madonna, ma il Bambino, alzando il braccio, l’avrebbe bloccata.
In occasioni di epidemie, siccità o allagamenti, si effettuavano ostensioni straordinarie della reliquia e processioni con la statua del Pisano, per la quale non mancò mai la venerazione. La piccola immagine fu riprodotta tra Sette e Ottocento in una serie di incisioni devozionali, mentre copie in terracotta della stessa ornarono gli spazi per la devozione privata nelle case o i tabernacoli agli incroci delle strade. Ancora nel Novecento la religiosità popolare pratese era incentrata sulla sacra Cintola, anche se si era certamente modificato il rapporto tra città e reliquia; particolarmente coinvolgenti furono nel 1945 la grande processione della scultura per le strade del centro, sorretta dai reduci della guerra, come nella Peregrinatio Mariae del 1949 nelle varie parrocchie, che suscitò forte emozione anche tra i non cattolici, dimostrando il legame ancora saldo tra valori e simboli della storia civile e della tradizione religiosa, un legame sottolineato anche dai due Pontefici che, in visita a Prato, hanno venerato la reliquia mariana: Giovanni Paolo II nel 1986 e Francesco nel 2015.

 

Testo Claudio Cerretelli

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