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Il ‘prato’ di Serravalle Pistoiese

Serravalle Pistoiese in una foto d’epoca di fine Ottocento

Sorto in posizione strategica a controllo dell’omonimo valico collinare, Serravalle Pistoiese esprime la sua peculiarità nello stretto rapporto, indicato dal toponimo, con il luogo in cui sorge: il crinale che collega le ultime propaggini dell’Appennino Pistoiese al Montalbano e che funge da spartiacque tra la valle dell’Ombrone e la Val di Nievole. Caratteristica prevalente del borgo è l’assetto urbanistico di epoca medievale dominato ancora oggi da imponenti fortilizi relativamente ben conservati.

Durante il periodo di espansione del Comune di Pistoia, nella prima metà del XII secolo, nell’avanzamento verso ovest in direzione della Val di Nievole, i pistoiesi decidono di fortificare Serravalle in quanto luogo strategico. Edificando quindi un sistema difensivo costituito da cortine murarie che racchiudono un esiguo abitato e si saldano a una rocca, posta sul versante orientale del colle in posizione altimetrica dominante, al cui interno si trova la torre, ancora esistente, detta del Barbarossa.

Con la successiva presa di possesso da parte dei lucchesi all’inizio del XIV secolo, il sistema difensivo viene ulteriormente potenziato con la costruzione sul versante occidentale del poggio di una seconda fortificazione, detta impropriamente di Castruccio, costituita da un poderoso recinto coronato a ovest da una possente torre esagonale e caratterizzato a est dalla presenza di due bastioni.

È a partire da questo periodo che Serravalle acquista il definitivo impianto urbano e la sua vocazione difensiva di castello che conserva fino all’Ottocento: un imponente sistema di fortificazioni che collega la rocca vecchia, al limite orientale del colle, e la rocca nuova, all’estremità occidentale. Quest’ultima, indipendente e distinta da quella preesistente e dal tessuto abitativo, è separata da questi mediante una vasta area inedificata utilizzata come spazio di manovra per armi e soldati in caso di azioni belliche.

rocca e prato fine ottocento

Unico vuoto urbano conservatosi nei secoli, questo ampio spazio, oggi denominato piazza della Vittoria, ha visto più volte mutare nel tempo il proprio assetto. Un’evoluzione che, grazie all’avvento della fotografia, è dettagliatamente documentata a partire dalla fine dell’Ottocento.

Venute meno le necessità difensive, l’area, come testimoniato da una fotografia del 1898, si presenta come un’ampia superficie inerbita priva di qualsiasi tipo di sistemazione sia di natura architettonica che vegetale: è il ‘prato’, nome con il quale ancora oggi gli abitanti del borgo sono soliti indicare questo luogo.

Panoramica della piazza ai giorni nostri

All’inizio del XX secolo si registra il primo tentativo di allestimento: una cartolina viaggiata del 1908 documenta infatti la presenza, in corrispondenza dei lati lunghi, di due filari di platani e, in prossimità dell’accesso alla rocca nuova, di una grande fontana circolare con roccaglia e zampillo al centro delimitata da una balaustra in ghisa. All’epoca la rocca, di proprietà di Niccolò Puccini, è chiusa da un cancello e utilizzata per la coltivazione di olivi e viti dalla famiglia Arcangeli, affittuaria dell’intellettuale e filantropo pistoiese. Soltanto nei primi anni Settanta del XX secolo viene infatti acquistata dal Comune e aperta al pubblico.

Un radicale cambiamento dell’immagine del “prato” si ha a cavallo tra le due guerre, alla fine degli anni Trenta o agli inizi del decennio successivo, in seguito alla collocazione di un imponente monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale in luogo della grande fontana circolare. Realizzata dallo scultore Giuseppe Gronchi, l’opera, inaugurata il 23 agosto del 1925, sorgeva originariamente all’ingresso del paese dove oggi c’è un obelisco in pietra in memoria dei caduti di tutte le guerre. Il monumento era costituito da una grande stele in travertino scolpito sulla cui sommità compariva una testa raffigurante l’Italia e sulla parte anteriore un soldato morente in bronzo, con l’epigrafe dannunziana “olocausto, olocausto, non spegnere nella tua cenere l’estro dell’immortalità”.

veduta di Piazza della Vittoria dall’alto

Probabilmente in occasione del trasferimento della scultura, come testimoniato da una cartolina degli anni Trenta, viene creato un dislivello e realizzata una sorta di terrazza per ammirare la piazza dall’alto, il perimetro del “prato” è arricchito e sottolineato da una siepe e vengono messi a dimora quattro pini domestici, presenza quest’ultima che caratterizzerà la piazza fino agli inizi del XXI secolo.

Quando nel 1942 la statua in bronzo viene fusa per la causa “metallo alla Patria”, la stele rimane nella piazza ma viene gradualmente trascurata fino a quando alla fine degli anni Cinquanta viene distrutta. Ciò che rimase, la testa, con la quale generazioni di bambini avevano giocato, venne recuperata da un abitante del borgo, il dott. Giorgio Arcangeli che, autorizzato dal Comune, la trasferì nel suo giardino dove tuttora si trova.

foto attuale del prato e la rocca

Risale probabilmente agli stessi anni Quaranta anche l’attuale denominazione di piazza della Vittoria, in ricordo della vittoria conseguita dagli italiani nel primo conflitto mondiale. Demolito il monumento ai caduti, “il prato” con il passare del tempo cessa di svolgere il ruolo di preambolo alla rocca nuova e di spazio di aggregazione sociale per trasformarsi in uno sterile parcheggio. La piazza assume il suo definitivo assetto agli inizi del XXI secolo attraverso un intervento di riqualificazione teso a restituirle valore e dignità. La completa pedonalizzazione e una razionale, semplice sistemazione hanno riconsegnato il “prato” ai suoi abitanti, facendolo tornare a essere luogo d’incontro e di manifestazioni pubbliche, e ricostituito l’originaria percezione dello spazio: un dialogo “visivo” tra le due rocche e una visuale completamente libera e focalizzata sulla presenza della rocca nuova per coloro che, dal borgo, si dirigono verso il fortilizio.

Testo Nicoletta Boccardi

Foto David Dolci

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