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Lo spirito della palude

D’altra parte il Padule di Fucecchio, la più grande palude interna italiana, è di per sé una grande macchia di Rorschach nella quale, come nelle farfalle d’inchiostro degli psicanalisti, ciascuno di noi
può vedere realtà multiformi in base all’umore, alle conoscenze ed esperienze di vita.
Chi entra in contatto con la zona umida, sopravvissuta alle bonifiche e circondata da città ed insediamenti industriali, rimane colpito dalla bellezza dei paesaggi, così diversi dal quotidiano fatto di case, strade e rumori che la maggior parte di noi deve affrontare ogni giorno.
Un’alba in Padule può quasi stordire: la nebbia confonde i contorni dei filari di pioppi che si affacciano sui canali, in un silenzio irreale rotto solo dai richiami degli uccelli acquatici. In questa atmosfera ovattata il mondo civilizzato pare veramente molto lontano.

Un volo di Storni su un casolare abbandonato in località Piaggione, Ponte Buggianese (foto F. Gianneschi)

Lo stesso paesaggio per un animo inquieto diventa quasi opprimente: “Il caldo era soffocante e non dava respiro nonostante una leggera brezza di marino che sulla sera si era alzata languida languida e che, insieme con qualche raro fischio di uccelli palustri, rompeva l’alto silenzio di quella deserta pianura” (da “Il matto delle giuncaie” di Renato Fucini).
Lasciando le suggestioni letterarie, che spesso ci riportano a zone umide malsane, dominate dalla “mal’aria”, oggi l’immagine classica del Padule è quella solare di alberi e barchini che si specchiano nelle acque calme: una bella cartolina, riprodotta all’infinito sui social da stuoli di visitatori entusiasti.
Se ne parlate con Vittoria, artigiana delle erbe palustri e sopravvissuta al tragico Eccidio del 23 agosto 1944, vi colpirà il suo scetticismo nei confronti di questa visione edulcorata del Padule: purtroppo non potrà mai dimenticare l’orrore della strage, e molte estati dopo la fatica ed il caldo di chi era costretto ad andare a tagliare il “sarello” in condizioni che oggi non sarebbero ritenute accettabili.

Una bella immagine di un Airone cenerino (foto V. Baldeschi)

Il cultore di storia locale, di fronte allo stesso paesaggio, concentrerebbe la propria attenzione sulle testimonianze dell’opera dell’uomo, che nel corso dei secoli ha plasmato e modificato la struttura stessa dell’area umida: i canali ed il sistema dei porti, i casotti, il ponte mediceo di Cappiano, la fattoria del Capannone e gli essiccatoi del tabacco, grandi cattedrali dell’archeologia industriale.
Il naturalista, al contrario, direbbe che per fortuna la “mano sapiente dell’uomo” non è riuscita fino in fondo nel proprio intento di domesticazione della palude, altrimenti ci troveremmo oggi di fronte al fantasma di un antico ambiente naturale, come è accaduto per il gemello Padule di Bientina.
Agli occhi di chi sa leggere il grande libro della natura, il Padule offre ancora molte sorprese: nonostante la ridotta superficie dell’area protetta, e le difficoltà gestionali degli ultimi anni, le ricchezze della flora e della fauna non deludono il visitatore. Qui si possono osservare nel corso dell’anno oltre 250 specie di uccelli, fra cui alcune arrivate in tempi molto recenti, che fanno la gioia degli appassionati di birdwatching; il ritmo delle stagioni è scandito dal passaggio dei migratori che da sempre percorrono nel cielo le stesse rotte invisibili.

Piante di ranuncolo acquatico viste da un’insolita prospettiva (foto di F. Gianneschi).

Quando tutto fa pensare al peggio, e grandi progetti sembrano minacciare l’esistenza stessa della grande palude, basta la ricomparsa di una specie come il Topolino delle risaie, minuscolo ma di grande importanza ecologica, per farci ancora sperare nella resilienza di questo ambiente agli attacchi dell’Antropocene.
Uno, nessuno e centomila. Certo è che il Padule di Fucecchio non è stato creato dall’uomo, ma sta a noi riuscire a conservare per le generazioni future le tante facce dell’inafferrabile “spirito della palude”.

 

Testo Enrico Zarri
Foto Federica Gianneschi, Valerio Baldeschi

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