C’è un luogo che a Pistoia trasuda storia. Quasi quanto un volume da consultare in biblioteca. Un luogo che oggi, per chi lo visita, può non dire niente ma che, fino al 1966, rappresentava una istituzione per la città.
Siamo a Monteoliveto e quello che adesso è un giardino un tempo ero lo stadio, in mezzo alla città. Un impianto che aveva visto la luce nel 1922 e che è passato indenne dalla Seconda Guerra Mondiale: ovviamente ben diverso dagli impianti moderni che si vedono nascere oggi, ma unico.
La tribuna in legno che si appoggiava sulla terza cerchia muraria di Pistoia: e lì, vicino al “Bastione Ambrogi”, nella parte ad ovest della città con il velodromo, lo spazio per il pugilato, la palestra “Terzilio Bizzarri” ed un mondo che in quei luoghi ferveva. Fino al 1966, quando l’evolversi dello sport e non solo, portò Pistoia a dotarsi dell’attuale stadio “Comunale” ed a lasciar cadere in rovina il “vecchio” Monteoliveto prima del definitivo smantellamento e della sua trasformazione in giardino pubblico.
Un luogo che è tornato a vivere col volume “Monteoliveto – Pistoia e lo stadio dimenticato“ (Giacomo Carobbi, Cristiano Rabuzzi, Geo Edizioni 2016) che già dalla sua introduzione, affidata allo storico capitano della Pistoiese Romolo Tuci, fa capire la magia di quel posto.
«Al Monteoliveto c’era un tifo bellissimo, un clima davvero splendido. E noi lo sentivamo in campo, lottavamo alla morte. Ci sono state anche 10 mila persone a sostenerci. Allora il calcio si poteva vedere solo così, non era tutto in televisione come adesso. O andavi allo stadio o lo leggevi il giorno dopo sul giornale. È un peccato che lo abbiano demolito… Che stadio affascinante! Potrei descriverlo metro per metro…».
E guai a dire che Monteoliveto era un campo come gli altri. «Ha visto passare il re ed il fascismo – si legge – la guerra e la sofferta rinascita, la lenta ripresa e il boom economico. Era sempre lì, magari ritoccato o appena rimodernato, con la gloriosa tribuna dalla parte centrale in legno appoggiata alle mura trecentesche, i caratteristici popolari ricostruiti in cemento dopo la guerra, la casa colonica e la stalla trasformate in spogliatoi. […] Irripetibile la location, da pelle d’oca, fra la terza cerchia di mura cittadine, il Seminario Vescovile, la Chiesa di San Francesco, l’ex convento di San Benedetto con sullo sfondo la Cupola vasariana della Basilica della Madonna dell’Umiltà. Un tempio e un ritrovo, un orgoglio e un tuffo nel passato, piazzato a bucare la storia con romanticismo e semplicità».
Ed è in quelle 200 pagine del libro che viene fuori, in larga parte, uno spaccato di storia della città di Pistoia attraverso un impianto che, già negli anni Trenta, sapeva che sarebbe andato a morire visto che il progetto del nuovo stadio a nord stava già nascendo.
Quello che non è piaciuto, però, è il finale. Amaro, triste, senza sentimento: di quell’impianto niente è rimasto se non la palestra e, ci mancherebbe altro, la terza cerchia muraria. E’ per questo che, nel libro, gli autori mettono in evidenza come quel “trapasso” fu vissuto all’epoca quasi con indifferenza e rassegnazione.
Una storia iniziata nel 1922 quando nacque Monteoliveto. Quel terreno, storicamente di proprietà della chiesa, era passato di mano in mano fino ad arrivare a Ciro Papini, all’epoca presidente della Pistoiese, la società sportiva che aveva visto la luce soltanto l’anno precedente.
E’ da lì che tutto partì: le esibizioni dei più forti ginnasti d’Italia con il richiamo della Ferrucci Libertas, la boxe, le sfide fra rioni, rugby, baseball, corse campestri, wrestling (con partecipante Primo Carnera), concerti, opere liriche e, durante il fascismo, perfetta location per parate militari.
Ma Monteoliveto è stata, soprattutto, la patria di due sport: il calcio ed il ciclismo. L’Us Pistoiese ci ha giocato 582 partite ufficiali e, nel libro, si ricordano i primi match.
«Caratteristico, suggestivo, ricco di fascino e di storia, il campo di via Bindi ha difeso e protetto strenuamente la squadra arancione. Con l’affetto, il calore e l’entusiasmo provenienti dai piccoli spalti, spesso gremiti ben oltre il limite della capienza (4500 posti, ma in certe sfide gli spettatori erano ben più del doppio). Era uno stadio che “parlava” ai giocatori, sapeva star loro vicino, li incoraggiava. Così raccontano i tifosi di vecchia data, quelli che hanno avuto la fortuna di entrare tra le sue mura».
E, in chiusura, il velodromo costruito nel 1947 che riuscì a portare a Pistoia Fausto Coppi e Gino Bartali, Fiorenzo Magni ed i padroni di casa Renzo Soldani e Loretto Petrucci: Monteoliveto fu sede d’arrivo della Roma-Pistoia del Giro d’Italia 1928 vinta da Albino Binda, ma dagli anni Cinquanta l’attività iniziò a scemare fino a scomparire del tutto a inizio anni Sessanta.
Oggi, però, Monteoliveto è sempre lì: ci sono i giardini, le panchine, i ragazzi che trascorrono il loro tempo libero. Nemmeno un segno tangibile di quello che è stato e delle imprese scritte in quel pezzo di Pistoia: è per questo che è lo stadio dimenticato.
Testo di Saverio Melegari