Policarpo Petrocchi, figlio di un calzolaio che aveva la bottega in una delle piccole strade del borgo
Castello di Cireglio è un piccolo paese alle porte della montagna pistoiese. 650 metri sul livello del mare, 70 abitanti nei mesi invernali (che triplicano nel periodo estivo), un patrimonio di boschi tutto attorno, Castello si presenta oggi come un paese che ha saputo conservare la sua autenticità.
Le sue strade (in parte ancora acciottolate), le sue piazzette, le sue case, appaiono per lo più quelle di un tempo. Grazie allo spirito di iniziativa dei suoi abitanti e di due associazioni, la Società Onore e Lavoro e Amo la montagna, è ben curato e sono stati realizzati nel corso degli anni, anche con il sostegno di finanziamenti pubblici e privati, recuperi significativi, come quello della chiesa e quello del circolo.
Ma Castello di Cireglio, a 12 chilometri da Pistoia, a poche centinaia di metri da Cireglio, ha qualcosa che altri paesi simili a lui, delle stesse dimensioni e con caratteristiche analoghe, non hanno la fortuna di possedere: è il paese natale di Policarpo Petrocchi, lessicografo e scrittore, autore di uno dei vocabolari della nostra lingua sui quali alcune generazioni hanno studiato l’italiano.
Petrocchi nasceva a Castello il 16 marzo 1852, figlio di un calzolaio che aveva la bottega in una delle piccole strade del borgo. Ma Castello non è stato semplicemente il suo luogo di nascita: Petrocchi ci è cresciuto e, quando ha iniziato la vita da insegnante, tra Torino Milano e Roma, è tornato regolarmente, soprattutto d’estate, nella sua casa di montagna, fino all’agosto del 1902, quando la morte lo raggiungeva proprio nel suo borgo. Di Castello si è occupato con costanti cure e attenzioni e con un fortissimo senso pratico: ha fondato la Società di mutua assistenza Onore e Lavoro nel 1880, si è impegnato per dotarlo di una scuola, per realizzare la strada che lo collegasse alla Via Modenese, per realizzare due fontane che portassero acqua potabile tra le case. Ma forse l’opera più importante per Castello l’ha fatta scrivendo un libro, “Il mio paese”, composto intorno al 1880, non concluso e pubblicato postumo nel 1972, in una edizione limitata accompagnata dalle tavole di Sigfrido Bartolini. Il libro, per molti aspetti autobiografico, racconta il paese nel quale Policarpo è cresciuto, i giochi che facevano i bambini, la comunità (con pochi soldi ma con uno straordinario capitale umano), i lavori stagionali (come quelli legati alla raccolta e all’essiccazione delle castagne), l’emigrazione degli uomini che, subito dopo la festa dei Morti, andavano lontani a fare il carbone.
Castello è dunque un paese ben conservato e con un patrimonio immateriale: uno scrittore importante e un libro che racconta le sue strade, le sue case, i suoi boschi e i suoi abitanti.
Nel 1992 Stanislao Nievo, pronipote dello scrittore risorgimentale Ippolito Nievo, ideava i Parchi Letterari: uno strumento di conservazione, tutela e valorizzazione dei luoghi partendo dalla letteratura. I Parchi Letterari, a partire dal 2009, sotto la direzione di Stanislao De Marsanich, hanno conosciuto una nuova vita ed hanno accentuato la loro funzione di valorizzazione dell’intero territorio, anche dal punto di vista economico, partendo da un autore che in quel luogo è vissuto e che quel luogo ha raccontato. Castello ha tutto ciò che serve per la nascita di un Parco Letterario. E infatti il Parco Letterario Policarpo Petrocchi è appena nato, grazie alla firma della convenzione tra Comune di Pistoia e Paesaggio Culturale Italiano, la società che gestisce il marchio dei Parchi. È il ventiduesimo Parco letterario italiano (due sono nati all’estero) e entra in una rete alla quale appartengono, solo per fare pochi esempi, il Parco Carlo Levi di Aliano (Basilicata), il Parco Gabriele d’Annunzio di Anversa degli Abruzzi, il Parco Eugenio Montale alle Cinque Terre e – per guardare alla Toscana – il Parco Emma Perodi legato alle Foreste del Casentino.
Il Parco Letterario Policarpo Petrocchi è appena nato, ed è il ventiduesimo Parco letterario italiano.
testo Giovanni Capecchi
foto Maurizio Pini