Quella di Valerio Ceccarelli, nato a Poppi nel 1954 ma trasferitosi a Pistoia prima di compiere un anno di vita, è una storia che merita di essere raccontata e conosciuta. È la storia di una dedizione: all’arte e ad alcuni grandi maestri della pittura. C’è una data e un luogo dal quale la vicenda ha avuto inizio: Valerio, che già alle scuole elementari e alle scuole medie aveva mostrato una grande passione per il disegno e la pittura, è al secondo giorno delle superiori, alla Scuola d’Arte, oggi Liceo artistico. Manca la professoressa di matematica e viene a sostituirla in classe Pietro Bugiani, che mostra agli alunni un piccolo libro: è un libro dedicato a Rembrandt. In Valerio scatta immediatamente la passione per questo artista: una passione che lo porta subito dopo a frequentare gli Uffizi per andare a vedere le tele del maestro olandese e ad osservare con attenzione e curiosità un copista che ne riproduce le opere.
Anche Valerio decide di provare a riprodurre in copia le opere d’arte che più ama, iniziando proprio da due autoritratti di Rembrandt. Questa attività, una volta finita la Scuola d’Arte, dove ha incontrato Bugiani ma anche Jorio Vivarelli, con il quale resterà legato per tutta la vita, diventa un mestiere, il proprio mestiere.
Dal 1977 fino a tre anni fa, ha riprodotto e venduto oltre 4.000 opere: “Direi di aver fatto tra le 4.300 e le 4.500 copie – racconta.
Le facevo su committenza, ma spesso chi le ordinava non mi lasciava il tempo per riprodurre gli originali con la dovuta calma e precisione. Dal 1985 ho così deciso di dividere in due la mia attività: mentre continuavo a fare copie su committenza, per guadagnarmi da vivere e mantenere la mia famiglia, ho iniziato anche a fare delle copie solo per me”.
Queste copie fatte per sé sono oggi 70. Sono copie di quadri di grandi maestri italiani (da Leonardo, la cui “Annunciazione” campeggia nel salotto di casa: ed era un’opera che andava spesso a vedere Alfio Del Serra, che si era occupato del restauro dell’originale, a Raffaello, Pontormo e Tiziano) ma sono soprattutto riproduzioni dei maestri fiamminghi. “I fiamminghi sono la mia passione – spiega mente ci mostra le tele nel suo studio e nella sua abitazione –; ho incontrato la loro pittura alla mostra che gli venne dedicata a Firenze nel 1976 e da allora sono rimasto conquistato dai colori straordinari e dalla ricchezza dei dettagli delle loro tele. Direi che anche quando riproduco gli italiani, scelgo opere che hanno aspetti ricollegabili al gusto fiammingo”.
Copiare, per Valerio Ceccarelli, significa studiare l’arte dei maestri, conoscerne in profondità la tecnica pittorica e rendere loro omaggio. Ogni giornata prende senso se è dedicata almeno in parte ad un “a tu per tu” con un maestro.
E le 70 opere realizzate, su tela e – soprattutto – su tavola, hanno richiesto circa 50.000 ore di lavoro e non sono in vendita: restano tra le cose più care che Ceccarelli ha e, per poterle vedere una accanto all’altra, Valerio ha anche acquistato un fondo dove esporle. Ogni copia ha richiesto un lavoro accurato: andarla a vedere (la storia di Valerio è anche una storia di viaggi nei musei d’Europa), fotografarla con centinaia di scatti in modo da poter osservare i minimi tratti e le pennellate (su uno scaffale dello studio ci sono accumulate – in ordine – le scatole con le fotografie fatte) e poi, nella tranquillità dello studio, iniziare a riprodurla.
E dietro ogni tela riprodotta c’è una storia. Il “Compianto sul Cristo morto” di Rogier van der Weyden, per esempio, era custodito in un deposito degli Uffizi in prossimità di via dei Georgofili: “L’ho fotografato una settimana prima dell’attentato del 1993 – racconta – e poi l’ho ricollocato non di fronte alla finestra, dove si trovava, ma su una parete laterale; mi vengono i brividi a pensarci, ma se l’avessi rimesso dove era, oggi non avremmo più questa grande opera, che sarebbe stata distrutta dallo scoppio della bomba che ha mandato in frantumi anche la finestra di quella stanza; invece è stata solo lievemente danneggiata e possiamo ancora ammirarla”.
Anche oggi Valerio Ceccarelli, al quale sono state dedicate a Pistoia due mostre, nel 2001 e nel 2015, continua a riservare una parte importante del suo tempo agli artisti che ama. Nella sua abitazione, dove ci guida insieme alla moglie Giovanna, ci mostra anche “La torre di Babele” di Pieter Bruegel il Vecchio e non può non impressionare l’esattezza della riproduzione di questa che considera un po’ il simbolo e la sintesi del suo lavoro. Pochi giorni fa è andato all’Ambrosiana, a Milano, per un’altra opera di Bruegel, “Vaso di fiori con monili”: “È un’opera straordinaria – ci dice con gli occhi che gli brillano e la voce che si incrina –, sono rimasto a contemplarla per due ore e mi sono emozionato: l’ho sempre ammirata ma non mi sentivo in grado di riprodurla; ora, invece, ho deciso di provarci”.
Nello studio, invece, i due cavalletti sono occupati dal “Piccolo giudizio finale” di Rubens e dall’“Alfiere” di Rembrandt, il cui originale è stato acquistato tre anni fa dall’Olanda per 150 milioni di euro.
E appoggiato alla parete c’è già un telaio pronto per un’altra grande opera di Rembrandt che vuole cimentarsi a copiare, “Lezione d’anatomia del dottor Nicolaes Tulp”.
Resta fedele, Valerio, ai suoi artisti e al pittore che ha incontrato per la prima volta sui banchi della Scuola d’Arte; e resta fedele, lui che si definisce un artigiano della pittura, alla sua vocazione: rendere omaggio agli artisti amati riproducendone le tele.
Testo Giovanni Capecchi