La fondazione del complesso monastico risale al 1200, ma decisivi sono stati gli interventi dei secoli XVII e XVIII
La fondazione del complesso monastico della Santissima Annunziata risale alle origini dell’Ordo Servorum virginis Mariae ad opera del priore Filippo Benizi; siamo nel secolo XIII, il secolo degli ordini mendicanti, e la comunità dei Servi di Maria si inserisce in questo fecondo solco spirituale.
La chiesa stessa è concepita secondo lo schema classico dell’usus Pauper, con la rinuncia dei costosi apparati voltati e l’uso delle capriate a vista e, sulle pareti, le ampie superfici si offrono per l’edificazione di altari da parte delle nobili e ricche famiglie Pistoiesi; proprio l’impegno di queste porterà a lavorare nel complesso della Santissima Annunziata le più valide maestranze delle diverse epoche: Sebastiano Vini metterà mano nella dipintura dell’angelo e della gloria all’altare, dopo che l’affresco della Vergine del XIV secolo fu staccato dalla sede di origine e traslato dove oggi lo ammiriamo; sempre Vini è anche l’autore della tavola della Circoncisione di Gesù che si trova alla destra del presbiterio; Lodovico Cardi, detto il Cigoli, realizzerà la splendida tela della Natività nella cappella di sinistra del presbiterio; lavorano poi nella chiesa, solo per citarne alcuni, Fra Paolino, Gerino Gerini, Marco Rossermini, Bernardino di Antonio del Signoraccio, Piero Scalabrino, Alessio Gimignani.
Ma ad operare il “grande abbellimento” e la sistemazione “alla Moderna”, secondo l’ecclesiologia e i dettami del Concilio di Trento, nei sec XVII-XVIII saranno gli architetti Francesco Maria Gatteschi e Giovacchino Fortini. Inoltre, da una lettera del 1720, scritta dal Priore del convento a Tommaso Puccini, si evince che in quel periodo stanno lavorando in contemporanea presso la chiesa Gian Domenico Ferretti, autore della splendida dipintura della volta del presbiterio, il quadraturista Lorenzo del Moro e Niccolò Nannetti, autore dei 16 riquadri del Santorale dei Servi nel registro superiore delle pareti della chiesa. La realizzazione degli stucchi è invece opera dei ticinesi Bernardino e Tommaso Cremona, molto attivi in città.
Lunetta sul lato Nord dipinta da Francesco Montelatici; rappresenta un duello in Piazza del Duomo a Pistoia nei primi anni del ‘600; altare della Santissima Annunziata.
Senza dubbio uno degli apici artistici lo si raggiunge con la decorazione delle 26 lunette del chiostro dei morti della Santissima Annunziata: si svolge principalmente nel corso del 1600 in tre fasi e rientra nell’ottica della pubblica esibizione del ruolo sociale e politico delle famiglie pistoiesi committenti che la rendono possibile con le loro donazioni in cambio dello stemma sotto ogni lunetta. Per la prima fase agli inizi del secolo viene chiamato il fiorentino Bernardino Barbatelli, detto il Poccetti, con l’incarico di raffigurare la vita dei Sette Santi fondatori dell’Ordine. Sull’incarico dato al Poccetti abbiamo un vivace e dettagliato rendiconto nei documenti dei frati. Noto per i suoi ritmi serrati di lavoro, ma ancor di più per la sua dedizione al bere (da qui il suo soprannome), Bernardino riceve la commissione già nel 1599 ma, tardando ad arrivare, costringe il padre provinciale a mettersi in viaggio verso Firenze nell’agosto 1601 per riuscire a portarlo a Pistoia con sé solo nei primi giorni di Settembre, spendendo “15 lire per condurlo e 3 lire in 4 fiaschi di vino di Firenze”.
La seconda fase è opera di un altro fiorentino, Francesco Montelatici detto Cecco Bravo, nel 1633. Il tema è la vita del Beato Bonaventura (il cui culto venne approvato nel 1822, mentre la consegna ufficiale delle reliquie al vescovo di Pistoia fu fatta nel 1915), rappresentata con uno stile ricco di tensione lucida e travolgente che non lascia dubbi sulla motivazione del soprannome attribuito all’artefice di questi affreschi. La prima delle lunette in questione è forse la più interessante dell’intero ciclo decorativo: il Beato vive alla fine del 1200, ma il pittore traspone la storia in ambientazione seicentesca, fornendoci una formidabile fotografia della vita pistoiese contemporanea. Si riconosce piazza del Duomo dove Bonaventura è in fase di duello, armato di uno scudo con l’arme dei Bonaccorsi (che avevano acquisito il “diritto” di paternità del Beato).
La narrazione delle storie del Beato passa a questo punto nelle mani di artisti pistoiesi, Alessio Gemignani e Francesco Leoncini, e l’ultima fase decorativa avviene negli anni ‘50 del secolo: il meno noto Martinelli, pittore dal ritmo pacato, chiude la narrazione con la morte e le esequie del Beato.
Questo magnifico complesso richiede ad oggi un importante intervento di restauro, ne va come sempre della ricchezza, non solo artistica, della nostra comunità locale. A tale scopo il Chiostro dei morti è stato il fulcro della passata edizione della Faimarathon, la manifestazione autunnale del FAI che aveva per tema orti, chiostri e giardini.
TESTO
Matteo Caffiero
Beatrice Landini
FAI Giovani Pistoia
FOTO
Nicolò Begliomini