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Quando il mestiere incontra l’arte

Ai piedi della Valleriana esiste un luogo che racconta cinque secoli di tipografia e la storia di una famiglia lungimirante legata alla tradizione, ma con lo sguardo rivolto al futuro: la Stamperia Benedetti di Pescia.

Roberta, figlia dei Gino Necciari, ci introduce alla scoperta della prima stamperia pesciatina, se non toscana, nella sede storica di piazza Matteotti.

All’ingresso una scritta sulle pareti ricorda che qui Francesco Cenni, tipografo fiorentino, stampava il 28 febbraio 1485 “Le confessioni” di San Bernardino da Siena, il primo libro stampato in città. Rapportando questo evento alla data dell’invenzione di Gutenberg, è facile comprendere quanto Pescia fosse sorprendentemente al passo con i tempi nell’arte della stampa.

Molti come Cenni si trasferirono a Pescia, grazie alle cui acque si produceva carta di buona qualità e a basso costo. Qui lavorò Artidoro Benedetti, che cominciò la professione all’età di undici anni e ai primi del Novecento si unì al pistoiese Niccolai. Il suo laboratorio divenne un luogo d’incontro per pittori, poeti, musicisti e artisti, grazie a lui la stampa incontrò l’arte. Spesso qui si ritrovavano Gabriele D’Annunzio, Lorenzo Viani e Giacomo Puccini. Viani veniva di persona a vedere come Artidoro stampava le sue xilografie al torchio, diceva che ogni minimo segno sul legno era musica stampata da Artidoro.
D’Annunzio volle che venisse stampata la sua “Lettera al legionario Alceste De Ambris” con xilografie dell’amico Viani, su carta Magnani da Artidoro Benedetti di Pescia. Nel 1921 Niccolai dovette restare al Vittoriale per giorni, finché D’Annunzio non si degnò di riceverlo.

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La sala composizione e alcuni particolari della mostra.

Gino Necciari entrò alle dipendenze di Artidoro nel 1940: “L’Italia entrò in guerra e io in tipografia” diceva. Nel 1967, dopo la morte di lui, la rilevò conservando il nome del maestro e raccogliendo l’eredità del dialogo mai interrotto con gli artisti. Gino è mancato lo scorso anno, ma ancora vive nella passione che ha trasmesso ai suoi figli Rudy e Roberta, che racconta: “Con l’avvento del computer è stato tutto rivoluzionato, tanti si sono trasferiti, noi per amore dell’antico e della storia delle radici ci siamo sempre mantenuti qui”.

Nei locali storici della stamperia fu inaugurata nel 2008, in occasione della Festa della Toscana, la Mostra delle Antiche Macchine Tipografiche e delle pubblicazioni stampate dalla tipografia dal 1800 ad oggi. “Non la chiamiamo museo perché siamo una tipografia ancora attiva, quindi abbiamo separato la parte antica dalla parte attuale”, afferma Roberta.

È possibile vedere le antiche macchine da stampa, come il torchio, gli arredi delle sale di composizione con i compositoi, i caratteri mobili e le interlinee in piombo, le xilografie originali di Viani e le riviste stampate per L’Eroica di Milano. In mostra sono conservati un pedale a motore di fine Ottocento, di cui esiste un altro esemplare al Museo Gutenberg a Magonza, e la macchina da manifesti, che consentiva la stampa a colori. Il ruolo delle donne in tipografia è testimoniato dalle foto d’epoca: si occupavano della rilegatura dei libri o inserivano i fogli in piedi alla macchina da manifesti.

Cosa è cambiato e cosa resta in continuità col passato? A questa domanda Roberta risponde: “Il cambiamento è stato materiale, per stare al passo coi tempi anche noi ci siamo aggiornati passando all’era del computer e del digitale.Serviamo vivaisti, piccoli commercianti, aziende e artigiani; però noi siamo le radici, ci teniamo a mantenere il rapporto con una nicchia di clienti che cerca tipi di stampa particolare, su carta fatta a mano, rilegata a mano. Noi siamo in grado di farlo. Il resto è rimasto uguale, l’ambiente sempre quello. Vogliamo mantenere la relazione con gli artisti, la tipografia è conosciuta per questo. Coltiviamo i rapporti umani, dagli stranieri che fanno cartoline dipinte a mano, a chi vuole realizzare edizioni speciali, come un giovane pittore con cui abbiamo stampato una guida di Pescia in italiano e inglese”.

Un progetto che Roberta ricorda con piacere è la stampa di una raccolta di racconti orali di un narratore del Botswana, a cura di una dottoressa italiana che decise di metterli su carta e chiese alla stamperia di realizzarne 100 copie, di cui una è conservata nella Biblioteca Nazionale del Botswana in Africa.

Il laboratorio apre le porte anche ad un pubblico diverso dai clienti, ospita scuole per attività didattiche e adulti in visita alla mostra. E come sempre, dove si trovano terreno fertile e radici profonde, anche qui germinano idee per il futuro.

Nei prossimi mesi, a un anno dalla scomparsa di Gino, si concretizzerà un progetto già nato con la mostra: la creazione di un’associazione e la realizzazione di una biblioteca con sala di consultazione, mantenendo gli arredi delle sale di composizione, al fine di “salvaguardare un patrimonio culturale che la rivoluzione della stampa ha diffuso”.

 

TESTO
Filomena Cafaro
FOTO
Nicolò Begliomini

 

In bianco e nero

Arte del libro e capolavori della xilografia degli anni Venti-Trenta a Pescia.

In un territorio tradizionalmente legato alla fabbricazione della carta e all’arte del libro, la storia della Stamperia Benedetti di Pescia (già “Stabilimento grafico Valdiserra di A. Benedetti & G. Niccolai”) offre una testimonianza del felice connubio tra imprenditoria e sapienza artigiana, con edizioni improntate a “carattere d’arte e non di mestiere” (C. Magnani, 1929).

Scorrendo il catalogo di quelle edizioni, curato nel 1990 da Galileo Magnani (La Stamperia Benedetti: 70 anni di attività), si rimane soprattutto colpiti dalle realizzazioni del maestro-stampatore Artidoro Benedetti, interprete negli anni Venti e Trenta del Novecento del gusto grafico, orientato all’arte xilografica, fatto proprio dalla rivista «L’Eroica» e dal suo multiforme, tenace editore: Ettore Cozzani.

Tra i collaboratori de «L’Eroica» spiccano i nomi di alcuni protagonisti dell’arte del Novecento in Toscana come Lorenzo Viani, Alberto Caligiani e Giovanni Michelucci, che contribuirono alla ripresa di questa tecnica espressiva, considerata sia nell’ambito della decorazione del libro che come forma d’arte autonoma, con predilezione per l’incisione su legno di filo, contraddistinta dall’uso di sgorbie e da un linguaggio vigoroso e istintivo.

Niente di più affine ai processi di riproduzione tipografica, e di più empaticamente rispondente alla sensibilità estetica di quegli anni (che si erano lasciati alle spalle, dopo l’esperienza della guerra, le sinuosità e le spensieratezze della Belle époque), poteva trovarsi della stampa diretta delle tavolette xilografiche, e delle loro aspre icone, in impaginati di essenziale purezza e semplicità. In quei legni, in quei fogli allineati sui banconi delle officine grafiche (idealmente rappresentate come gilde di arti e mestieri nei libri di Viani o del pistoiese Giulio Innocenti), si materializzavano ‘diari dell’anima’ volti a ricordare – con parole e immagini – i valori della patria, il sacrificio dei caduti, il dramma dei diseredati, le storie dei più umili e dei senza nome. Erano immagini di tragica e intensa espressività, affidate a forti contrasti di bianco e nero (è il caso di Viani), o più sommesse visioni liriche, improntate a un primitivismo sintetico e misticheggiante (soprattutto attratto da temi e reminiscenze francescane, come accade per Francesco Gamba, Aldo Patocchi e Giovanni Michelucci), o, ancora, illustrazioni di gusto novecentista, d’ispirazione classicheggiante, addirittura monumentale e ‘scultorea’ (come in certe copertine xilografiche realizzate da Publio Morbiducci).

Ettore Cozzani affidò la stampa dei fascicoli de «L’Eroica. Rassegna italiana» allo Stabilimento Tipografico Benedetti e Niccolai, che ne curò la pubblicazione per un decennio, a partire dal 1924. La rivista, dalla sobria e armonica veste grafica, era impeccabilmente stampata su carta a mano con filigrana esclusiva. Il ricco apparato fotografico, a corredo dei testi critici dedicati a pittori e scultori contemporanei, si trovava in inserti di carta patinata. Il blasone dell’incisione in legno (al tempo in cui «L’Eroica» vantava con orgoglio di aver ormai vinto la sua battaglia in favore di quest’arte) era testimoniato dalla sola copertina (e da rare tavole interne) e ribadito da un quaderno speciale, con cadenza annuale, dedicato alle prove di uno o più xilografi del panorama nazionale e internazionale, in cui si riversava tutta la perizia dello stampatore d’arte Artidoro Benedetti.

Per le “Edizioni de l’Eroica”, la tipografia pesciatina realizzò vari libri, in versione economica o di lusso, arricchiti da tavole e fregi xilografici, tra cui i volumetti della serie “I Gioielli dell’Eroica” illustrati da artisti come Armando Cermignani, Francesco Gamba e Aldo Patocchi. Se queste commissioni rinviano al sodalizio con Cozzani, un’altra collaborazione degna di nota è quella con l’editore Alpes di Milano, con opere di particolare pregio letterario e artistico, tra cui gli scritti autobiografici di Viani Gli ubriachi (1923) e Il figlio del pastore (1930). La dimestichezza con Viani, artista e scrittore viareggino particolarmente legato a Pescia e alla Valdinievole, è inoltre attestata dal numero unico dedicato al Centenario della morte di Shelley, da incisioni sparse, con vedute di Pescia, e dalla realizzazione del fascicolo xilografico Vogliamo vivere, con la riproduzione del messaggio di Gabriele d’Annunzio al legionario Alceste de Ambris. Il prezioso album, stampato da Benedetti e Niccolai nel 1922 in cento copie numerate (ristampa anastatica, 1991, a cura di G. Magnani), costituisce un paradigma dello sviluppo della xilografia italiana del primo Novecento, nel passaggio dal decorativismo liberty di un maestro dell’incisione come Adolfo De Carolis, raffinato illustratore delle opere di D’Annunzio e Pascoli, alla potenza espressiva e al valore sociale dell’arte di Viani.

TESTO e FOTO Gianluca Chelucci

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