L’autunno è la stagione del pecorino e dei necci: ottimo perido per un giro culturale e gastronomico tra i borghi storici della nostra montagna.
Sulle montagne pistoiesi ci sono famiglie di pastori e caseari che fanno pecorini come cento anni fa: portano le pecore in alpeggio, usano caglio naturale e latte crudo appena munto, senza alcuna pastorizzazione. Il loro formaggio è rimasto fedele alla tradizione.
Il latte proviene dalla mungitura, che in molti casi avviene ancora manualmente, delle Massesi, pecore dal pelo nero lucido e dalla testa leggera, corna scure a spirale che la fa assomigliare a dei piccoli montoni. Sono allevate allo stato brado e i pastori permettono loro di alimentarsi con le erbe spontanee.
Sono tre le tipologie tipiche di pecorino prodotto nella nostra tradizione pistoiese. Per iniziare, il pecorino fresco, che presenta una nota lattea dominante al naso e, in certi casi, si avverte anche il profumo dell’erba verde: in bocca è dolce, pastoso, con una vaga sensazione finale di miele amaro. L’abbucciato ha invece profumi più intensi di quello fresco e si sente chiaramente l’odore animale; il suo sapore è più ricco, più complesso, con una lieve sensazione di castagna. Infine, il pecorino stagionato, il più pungente, che ricorda il profumo del Parmigiano stagionato ed all’assaggio rilascia una vaga nota piccante nel finale e un piacevole accento di pascolo e di fieno.
I produttori di questo “classico” prodotto non sono molti, circa una ventina, riuniti nel Consorzio Montagne e Valli di Pistoia. Il formaggio viene commercializzato solo localmente, anche se sono avviate iniziative per promuoverlo. La conservazione della tecnica di produzione è di interesse comune, tanto da diventare Presidio Slow Food, in quanto “valorizzando il formaggio si intente salvaguardare i pascoli e garantire una giusta remunerazione alle famiglie che hanno deciso di rimanere o di tornare in montagna”.
In genere il tipico accompagnamento del pecorino a latte crudo è il pane toscano, la polenta, ma soprattutto i tradizionali necci pistoiesi – le caratteristiche frittelle di farina di castagne cotte sui “testi” arroventati sul fuoco.
Anticamente in molte zone dell’Appennino Toscano, dove non era possibile coltivare il grano e nemmeno comprarlo a causa dell’isolamento e della povertà, la farina di castagno (detta anche “di neccio”) era una delle poche risorse disponibili per panificare, fare frittelle e facacce. La tradizione vuole che i necci venissero cotti su pietre arroventate fra foglie di castagno bagnate, oppure su piastre di ferro oliate con una mezza patata avvolta in un panno. Per moltissimi anni è stato il dolce di eccellenza dei contadini, che avevano poche cose a loro disposizione: tanto tempo e le castagne, come dice il proverbio: “O che muguli o che un tu muguli, pan di legno e vin di nuvoli”, ovvero “E’ inutile che ti lamenti, ci son polenta di castagne e acqua”.
Questo è sicuramente il periodo giusto per fare un giro culturale tra i borghi storici della Montagna Pistoiese e gustarsi necci e formaggi di produzione locale in buona compagnia e magari anche con un ottimo bicchiere di vino rosso (anch’esso di produzione locale)!