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Segni dal passato

Il Museo d’arte contemporanea e del Novecento di Monsummano Terme dal 16 novembre 2019 al 15 marzo 2020, ospita una mostra nata proprio da questa selezione: un vincitore, cinque selezionati e quarantaquattro artisti scelti per le peculiari caratteristiche dei loro lavori, provenienti da Accademie di Belle Arti italiane e straniere, propongono le linee guida della  “futura” produzione incisoria e vengono presentati assieme ad una preziosa mostra omaggio dedicata a due grandi maestri dell’arte grafica: Jean Dubuffet (1901-1985) e Mimmo Paladino (1948).

 

In questi anni, grazie al progetto monsummanese, è stato possibile descrivere, in maniera onesta e scientifica, come si esegue e come si legge un’incisione; durante tutte le edizioni, si è parlato di tradizione e di gusto estetico, sono state spiegate le tecniche artistiche e le varie fasi  della loro esecuzione, con serate dedicate alla pratica, ci siamo soffermati a raccontare la storia dei grandi incisori del passato e abbiamo messo a confronto i maestri delle differenti Accademie, delle botteghe e dei laboratori, nei quali ha avuto origine la stampa e nei quali, ancora oggi, si percepisce la profonda voglia di applicarsi e di lavorare con le mani, nonostante l’avanzamento di nuove tecnologie dai risultati sempre più incisivi e scrupolosi.

 

Giovani molto diversi tra loro hanno impressionato anche quest’anno la commissione per la grande passione e l’impegno assunto nel raggiungere risultati di alto livello, come dimostrano le due acqueforti e acquetinte, con tracce di puntasecca, Presenza 6 e Presenza 7, del giovane vincitore, Federico Tosi, classe 1990, proveniente dall’ Accademia di Belle Arti di Bologna. Entrambe le sue incisioni, sono state esposte per i numerosi richiami che permettono all’osservatore di avvicendarsi nella lettura dei contenuti, raggiungendo una visione completa della poetica del giovane artista. Il tema è impercettibile, Tosi riesce, con eleganza sottile e analitica raffinatezza, a richiamare alla memoria due capisaldi dell’arte: Giorgio Morandi, riconoscibile nel recupero della fisicità delle piccole cose, nel valore delle ombre e soprattutto nel misurato ed equilibrato accordo dei toni cromatici; e Lucio Fontana, presente con una ricerca di unità assoluta tra oggetti e spazio, ottenuta attraverso una meditata struttura tonale che si propone come un taglio all’orizzonte.

 

I sedici fogli esposti nelle sale del Mac,n di Jean Dubuffet sono stati eseguiti tra il 1944 e il 1962 e descrivono solo una fase dell’attività artistica del maestro, quando la sua ricerca è rivolta, attraverso l’introduzione di processi innovativi, verso il raggiungimento di particolari effetti materici, ottenuti con la litografia. Scrive Michele Tavola nel suo saggio sul catalogo della mostra: “Dubuffet volle partire dalla tecnica per arrivare a stravolgerla, ma prima di inaugurare il proprio personale percorso capì quanto fosse necessario conoscerla in profondità. Per questa ragione, come del resto fece anche Picasso negli stessi anni, si affidò alla sapienza di Fernand Mourlot, il più grande stampatore litografo del ventesimo secolo, insieme al quale realizzò le sue prime sconvolgenti prove: nel 1944 nacquero i trentaquattro fogli di Matière et mémoire, libro d’artista seminale che insieme a Les Murs, pubblicato solo nel 1950, incarna in maniera plastica il concetto di Art Brut, coniato da Dubuffet stesso riferendosi alla produzione di “artisti irregolari, segregati o folli”, ovvero a un’espressione artistica libera, primaria e anticulturale che lui stesso desiderava sprigionare  con le immagini forgiate in quel periodo così arditamente sperimentale.”

 

La stessa espressione di arte libera ritroviamo anche negli undici fogli di Mimmo Paladino, realizzati tra gli anni Ottanta e Novanta ma, in questo caso, si tratta di un percorso colto, forgiato sulla ricerca di mondi antichi, primitivi, arcaici, che l’artista insegue, fra memoria e realtà, creando immagini senza tempo che colpiscono per la loro interpretazione mistica, intrisa di brandelli di quotidianità. Paladino recupera quelle realtà del passato che stanno scomparendo nel silenzio e spesso nell’indifferenza generale e dispone, nei suoi fogli, le radici della loro etica ed estetica, attraverso riflessioni prive di vincoli e indicazioni “preconfezionate”. L’artista non propone giudizi o impone valutazioni, non si domanda cosa percepiranno o quale insegnamento giungerà al pubblico attraverso le sue opere, i suoi scritti, i suoi volumi illustrati: le maschere senza sguardo, i profili arcaici delle teste, gli scheletri animati, custodiscono valenze emblematiche che sfuggono a un’interpretazione oggettiva, anzi risultano custodi di enigmi e misteri che ogni osservatore può decifrare, raggiungendo un’esegesi soggettiva e assolutamente incomparabile, come appare nella serie Atlantico del 1987 o in Poeti greci del 1990.

 

L’esposizione del Mac,n ha lo scopo di mostrare al pubblico il lavoro di giovani allievi, futuri artisti, delle Accademie di Belle Arti, offrendo un’importante possibilità di vedere esposti i propri lavori in una sede prestigiosa, corredati da un catalogo scientifico, che contiene le fotografie delle opere, accompagnate da brevi curricula, forniti direttamente dai partecipanti. Le opere esposte testimoniano una grande nobiltà d’intenti e s’impongono per genuinità, correttezza e sicura crescita professionale, decretando la continuità del successo delle tecniche grafiche, costruite, nei secoli, sulla sperimentazione continua di grandi maestri quali Durer o Rembrandt.

Testo Di Paola Cassinelli

Foto Archivio Arch. Roberto Prioreschi

 

 

 

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