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Sotto la scena

Il “Manzoni” è per Pistoia uno dei luoghi più amati, oltre a costituire ancor oggi uno dei suoi maggiori centri culturali. La sua fondazione fu opera di una delle numerose accademie in cui il patriziato cittadino del XVII sec. era solito corporarsi per fini ricreativi e culturali: l’Accademia dei Risvegliati. L’Accademia, istituita da Mons. Felice Cancellieri nel 1642, ottenne dall’autorità comunale nel 1677, quale sede per la propria attività, un antico tiratoio dell’Arte della Lana in disuso, un tempo proprietà Rospigliosi.

Grazie all’opera e all’impegno degli accademici, ha inizio la storia del teatro cittadino. Il primo edificio quasi certamente sorse sulle mura perimetrali dell’antico tiratoio. È probabile che il progetto fosse stato affidato al canonico Francesco Maria Gatteschi, uno dei maggiori artefici della nuova facies barocca che la città si stava dando. Alla fine del XVII sec. il teatro era già completato e funzionante. Una delle pagine più suggestive della sua storia si realizzò nel 1755 quando il noto architetto e scenografo Antonio Galli Bibiena, impegnato in quegli anni al cantiere del teatro La Pergola di Firenze, ricevette l’incarico di rinnovare completamente l’edificio, introducendo tutte le peculiarità del teatro barocco, tra cui la planimetria dei palchi “a campana”. L’innovativa soluzione architettonica consente agli spettatori di avere punti di vista diversi ed unici grazie alle viste di taglio. L’uso abbondante di linee curve, stucchi, dorature, pitture illusorie è finalizzata alla creazione di uno spazio effimero e dinamico esaltato dall’uso delle candele che danno vita al dipinto e al costruito. Nell’ambito teatrale, l’illuminazione è elemento costitutivo della scenografia: la fiamma dei ceri, muovendosi, anima le pitture della scena, un bosco oppure un’architettura urbana. Del teatro del Bibiena oggi restano soltanto alcuni schizzi di Francesco Maria Gatteschi conservati nella Biblioteca Forteguerriana.

Un’ulteriore profonda modifica fu opera dell’architetto Pietro Bernardini che nel 1863 intervenne sulla struttura dell’edificio. Venne inserito il quinto ordine di palchi e sostituite le strutture lignee, la curva planimetrica pensata dal Bibiena venne modificata e venne scelta la forma a “ferro di cavallo” che tuttora permane.

Nel 1865 il Regio Teatro di Pistoia fu intitolato ad Alessandro Manzoni, ancora vivente, il quale accolse la dedicazione con umile reticenza. Si deve all’Ing. Luigi Manfredini nel 1926 l’ultimo significativo intervento strutturale: venne rifatta completamente la facciata in stile tuscanico con basamento a bugnato e tripartizione; si procede alla demolizione del quinto ordine dei palchi e a quella parziale del quarto per l’inserimento della galleria. Questa trasformazione è figlia di una nuova concezione più popolare della fruizione e della funzione del teatro. I più recenti interventi dell’Arch. Emilio Pagnini si incentrano prettamente sull’adeguamento della sicurezza. Il teatro Manzoni si configura come “teatro all’italiana” e basa la sua impostazione architettonica sulla separazione del pubblico dall’azione teatrale attraverso il proscenio ed è “teatro dell’illusione” in cui l’arco scenico incornicia e separa l’azione dal pubblico. Il teatro a scena fissa tradizionale è impostato su una serie di accorgimenti tecnologici ideati appositamente per lo sviluppo del sogno nel tempo e nello spazio. Camminando dietro le quinte ci si trova immersi in uno spettacolare intreccio di corde e funi che richiamano alla mente scenari di avventurosi galeoni. Ad oggi le scene vengono mosse attraverso meccanismi in parte manuali. Al di là del “prodotto finito”, fruibile dalla platea, ruota un insieme variegato di maestranze –e di specializzazioni.

La grande scena fa parte di un sistema molto complesso di spazi strutturati in una rete di relazioni verticali e orizzontali che lo costituiscono. Rimanendo nella metafora marinaresca, non ci si immagina che, fra i tanti spazi, sotto il palco, come nella stiva delle navi, si apra una struttura affascinante. Questa è composta da una foresta di colonnine in ghisa a sostegno dell’impalcato ligneo del palcoscenico. La ghisa è il materiale-manifesto del nuovo modo di fare architettura di fine ‘800. Qui aveva sede il “suggeritore” che, attraverso una botola, imbeccava gli attori. Tornando sul palco, ai fianchi di questo, sono posti cinque livelli di quinte di forma ad “L” ideate per poter chiudere bene il perimetro dell’area scenica e venire incontro all’ inconveniente visivo dato da una platea molto vicina al proscenio. Le quinte creano percorsi differenziati per i vari personaggi della scena senza intralci reciproci per le entrate, sottolineando così i diversi piani di profondità.

Il teatro Manzoni si configura come un luogo onirico dove la magia e lo stupore di quanto rappresentato è frutto di un’altrettanto affascinante macchina scenica capace di materializzare lo stupore attraverso il sincronismo e l’abilità di tecnici e artisti.

A cura del Gruppo FAI Pistoia

Testo Matteo Caffiero e Chiara Corsini

Foto Nicolò Begliomini

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