Undici anni fa veniva inaugurata quella che è stata definita la “fabbrica della conoscenza”.
Sono passati undici anni dall’inaugurazione della Biblioteca San Giorgio: sul palcoscenico approntato per la festa del 23 aprile 2007, Dario Fo avrebbe lasciato un forte segno di creatività e innovazione su quella che si sarebbe affermata nei mesi a venire come la più importante istituzione culturale della città. Subito ci si rese conto che quell’edificio avrebbe “creato” (e non solo ospitato) qualcosa di diverso da una semplice biblioteca, per quanto ricca di risorse informative: si parlò all’epoca di “fabbrica della conoscenza”, per segnare una sorta di continuità ideale tra il precedente uso dell’area, occupata dal Corpo 20 delle Officine San Giorgio, ma anche per attestarsi stabilmente su una linea d’azione nuova rispetto alla tradizione bibliotecaria nazionale: quella della produzione e non solo della distribuzione del sapere. Dietro l’immagine della fabbrica della conoscenza, faceva capolino il mito meccanicistico che immagina nel nostro cervello la presenza di tante rotelline e ingranaggi che si muovono in perfetta sincronia per produrre un nuovo pensiero. Anche la nuova biblioteca si ammantava della forza di questa metafora, per raccontare alle persone che questo spazio speciale sarebbe stato destinato a produrre qualcosa di nuovo.
Io sarei arrivata alla direzione della San Giorgio nell’estate del 2008: era passato poco più di un anno dall’apertura, e soprattutto erano trascorsi già alcuni mesi da quando Maurizio Vivarelli, che aveva governato la progettazione e la realizzazione della San Giorgio, aveva lasciato il suo posto per dedicarsi alla nuova carriera di docente universitario.
Non potevo vantare nessun merito al “miracolo”: mi sentivo come una ereditiera che aveva nelle mani una enorme fortuna senza aver fatto nulla. Sarei stata in grado di misurarmi con le altissime speranze che la San Giorgio aveva da subito generato? Sarei stata all’altezza di trovare buone soluzioni alla crisi economica che proprio in quei mesi iniziava a far sentire i propri effetti sulle finanze pubbliche, oltre che sulle tasche dei cittadini e delle imprese anche a Pistoia? Ce l’avrei fatta a gestire le aspettative con pochissimi soldi? Avrei arricchito il mito della San Giorgio o lo avrei impoverito? Questi erano alcuni dei dubbi che nei primi mesi di attività mi avrebbero assillato. Venivo da un’altra città toscana, e qui a Pistoia non conoscevo nessuno.
Avevo lavorato in biblioteche grandi, ma certo non grandi come questa. E poi c’erano le altre mille responsabilità legate al ruolo di dirigente dei servizi culturali del Comune per il quale avevo appena vinto la selezione pubblica.
Insomma, sapevo che avrei dovuto faticare per prendere in mano le redini della situazione. Ad aiutarmi furono due cose: da un lato, la voglia di mettercela tutta, senza risparmio di energie, di tempo e di pensiero; dall’altro, proprio la città stessa. Avrei scoperto velocemente che Pistoia è una città speciale, dove di lì a poco avrei deciso di mettere radici stabili, grazie ad affetti e amicizie che mi avrebbero cambiato la vita.
Dunque, la sfida era quella non soltanto di tenere in moto la macchina, ma farla correre lungo strade possibilmente nuove. Fuor di metafora: svolgere il normale servizio di biblioteca, ma contemporaneamente arricchire il portafoglio servizi con nuove proposte e nuove opportunità. I modelli a cui ispirarsi in quegli anni erano ancora pochi: il più interessante era rappresentato dagli Idea Stores di Londra, gestiti – guarda caso – da un italiano, l’amico e collega Sergio Dogliani, mentre in Italia la San Giorgio poteva guardare solo alla Sala Borsa di Bologna e al San Giovanni di Pesaro. Tutto era ancora da inventare. Alla San Giorgio la strada dell’innovazione è passata da un cambio di preposizioni: mentre tradizionalmente le biblioteche sono concepite PER i cittadini (c’è chi pensa e propone un servizio, e c’è chi lo fruisce, apprezzandolo, criticandolo o rifiutandolo), la San Giorgio è cresciuta come biblioteca CON i cittadini: nel 2009 nacque l’Associazione Amici della San Giorgio, che nel tempo avrebbe sviluppato l’importante ruolo di sostegno morale e materiale della biblioteca, grazie alle sue raccolte fondi, alle attività di promozione e valorizzazione dei servizi, ad un passa-parola costante e produttivo volto ad avvicinare alla lettura sempre nuove persone. Dal 2010 in poi presero il via i primi esperimenti che videro protagonisti alcuni professionisti pistoiesi, disponibili a mettere a disposizione il proprio sapere specifico per offrire agli utenti l’opportunità di partecipare gratuitamente a cicli di incontri di approfondimento.
Negli anni a venire sarebbe stato tutto un crescendo: lo scorso 3 novembre ad essere ringraziate nella Festa degli Alleati dal nostro sindaco Alessandro Tomasi sono state oltre 150 persone, che nel solo 2017 hanno offerto gratuitamente le proprie competenze, dando vita ad altrettanti corsi, circoli di studio e opportunità di approfondimento, e alimentando così un calendario di educazione permanente di dimensioni poderose e di alta qualità. Dunque, una biblioteca CON i volontari, CON gli alleati, e – last but not least – CON gli operatori: una squadra di dipendenti comunali che ha saputo interpretare bene questa nuova modalità di servizio e si è focalizzata sull’ascolto dei cittadini e dei loro bisogni, ha condiviso e interpretato attivamente la produzione di un modello di “biblioteca sociale” che è diventato un punto di riferimento e di ispirazione sia in Italia che all’estero.
In prima fila nel dossier di candidatura a capitale italiana della cultura, la San Giorgio ha interpretato la vittoria del titolo facendosi onore (oltre 2000 gli eventi culturali prodotti, assieme alla “sorella maggiore” Forteguerriana), ma soprattutto consolidando e maturando ulteriormente il suo ruolo di hub di comunità: snodo di mille conversazioni, di mille intrecci e mille percorsi di cui i cittadini di Pistoia sono diventati protagonisti assoluti.
Testo
Maria Stella Rasetti
Direttrice – Biblioteche Pistoiesi