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Il trittico robbiano della Cattedrale di Pescia

Il volume illustra tutte le vicende relative alla recente collocazione del trittico robbiano all’interno del Duomo di Pescia, in seguito ad un atto di generosità del Vescovo Mons. Roberto Filippini che ha voluto offrire alla vista ed alla devozione di tutta la cittadinanza la preziosa opera d’arte, affiancato dalla volontà di Lando Silvestrini, Presidente dell’Associazione “Quelli con Pescia nel cuore” che ha finanziato il restauro.
L’opera, concepita come un trittico a sportelli, fu commissionata nel 1457 circa a Luca della Robbia da Piero Capponi che, a capo della Congregazione dei Cavalieri del Tau di Altopascio, voleva destinarla all’altare della chiesa di San Biagio, nella magione invernale dei Cavalieri, ovvero nell’attuale sede della Misericordia in Piazza Mazzini a Pescia. Nel 1784, in periodo di soppressioni, la chiesa fu smantellata e della preziosa opera robbiana non si ebbero più notizie fino al 1847 quando fu collocata sulla parete destra della cappella privata dell’allora Vescovo di Pescia, Mons. Forti, come cita una epigrafe marmorea scritta dal poeta Giuseppe Giusti. Oggi l’opera è fruibile da tutti nel transetto sinistro della Cattedrale di Pescia, in un nuovo allestimento con caratteristiche di sicurezza, stabilità e inalterabilità nel tempo. I lavori di restauro e di ricollocazione, coordinati dall’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Pescia, sono stati eseguiti dal gruppo di studio costituito dall’Arch. Antonella Galli, per il progetto della nuova sede, e dai restauratori Paola Rosa, Emanuela Peiretti e Alberto Casciani, per le opere di smontaggio, restauro e rimontaggio nella nuova struttura.

        I restauratori hanno eseguito un importante lavoro di studio e di recupero

La particolarità dell’opera, oltre al grande valore storico artistico, risiede nell’essere il primo esempio di pala d’altare eseguita nella bottega di via Guelfa dei Della Robbia e in quanto tale, racchiude in sé la sperimentazione e l’approfondimento delle tecniche di realizzazione acquisite fino ad allora dagli artisti, per arrivare ad ottenere un manufatto nuovo rispetto alla loro corrente produzione. Si profilava per Luca e Andrea la necessità di capire come e in quante parti suddividere l’opera, nei diversi elementi che l’avrebbero composta, in termini di dimensioni, forme e spessori, in modo da non subire fratture o deformazioni al momento della cottura, per poter essere successivamente riassemblati, come in un puzzle, dove i punti di contatto dovevano poi scomparire nell’unità di insieme. Nel corso del restauro sono stati rinvenuti nei diversi elementi che compongono l’opera, tracce che suggeriscono l’impiego degli attrezzi di lavoro e la manualità degli artisti, oltre a chiari segni della sperimentazione che ha portato, negli anni sessanta del XV secolo, alla successiva e fiorente produzione di numerose e più imponenti pale di altare.
Nel corso del recente restauro, un occhio attento avrebbe potuto riconoscere sul retro degli elementi i segni degli strumenti utilizzati durante la fase scultorea, facendo immaginare i gesti ed i movimenti degli artisti, nonché alcuni errori, poi corretti, che hanno portato ad esempio in fase di cottura dell’argilla, a fratture o deformazioni della forma. Errori che potevano verificarsi anche nel corso della corrente produzione, ma che in questo caso hanno assunto il significato di ‘sperimentazione’, da cui, come detto, il valore aggiunto dell’opera.
Si presume che la composizione di insieme sia stata curata da Luca e che la modellazione sia stata invece eseguita dal nipote Andrea. Il grigio cerulo delle iridi è un segno identificativo di Luca, che il nipote cambierà nelle successive opere con l’uso del giallo ocra.
I restauratori Paola, Emanuela e Alberto, operatori di eccellenza nel settore, hanno eseguito un importante lavoro di studio e di recupero, applicando con estrema perizia tutte le tecniche del restauro, dallo smontaggio degli elementi, alla loro pulitura e consolidamento, fino alle integrazioni, ove rese possibili, e quindi alle stuccature ed al ritocco pittorico degli elementi.

I lavori di restauro e di ricollocazione, coordinati dall’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Pescia, sono stati eseguiti dal gruppo di studio costituito dall’Arch. Antonella Galli

La pubblicazione si arricchisce inoltre delle motivazioni che hanno guidato alla scelta del luogo della nuova collocazione del trittico ed a quelle che hanno dato vita alla nuova struttura di sostegno, pensata in metallo per le capacità di resistenza e con caratteristiche di sicurezza, stabilità e inalterabilità nel tempo.
Il rivestimento esterno inoltre ha determinato una architettura semplice e rigorosa, rispettosa dell’armonia compositiva dell’antica opera, che non entrasse in contrasto con essa ma che ne esaltasse la bellezza e la composizione artistica, preservandone il contenuto storico e devozionale. Una sfida non banale, dato il contesto in cui l’opera si trovava. Una cattedrale densa di storia lunga più di mille anni, dove ogni periodo culturale, dal medioevo ad oggi, ha lasciato la propria impronta.
L’intuizione di Mons. Filippini di posizionare la pala all’interno del transetto sinistro è stata corretta e sicuramente la più funzionale: di fronte e in dialogo con la cinquecentesca Cappella Turini avrebbero insieme rappresentato il fulcro della presenza dell’arte rinascimentale all’interno della Cattedrale, dove le trasformazioni e le opere settecentesche tendono a configurare la Chiesa Madre come opera barocca. La presenza sul fondo del transetto di un ingresso laterale, che in date circostanze doveva essere utilizzato, ha generato tuttavia non pochi problemi, risolti con la realizzazione di una ‘parete apribile’ retrostante al corpo centrale di contenimento dell’opera.

I restauratori Paola Rosa, Emanuela Peiretti e Alberto Casciani, per le opere di smontaggio, restauro e rimontaggio nella nuova struttura

Tale parete, in modalità ‘chiusa’ rappresenta una quinta prospettica, per la messa a fuoco centralizzata sull’opera d’arte; in modalità ‘aperta’ permette di recuperare l’intero volume e la spazialità architettonica del transetto, come a costituire una vera e propria cappella dedicata alla Madonna con Bambino raffigurata nell’opera.
Interessante infine la modalità di ancoraggio degli elementi costituenti l’opera stessa, assemblati tra loro con una innovata tecnica rispettosa della materia, con caratteristiche di reversibilità e inalterabilità, oltre che di protezione da pericolose tensioni generate da urti accidentali o da movimenti tellurici.
Una soluzione “smart”, per usare un linguaggio contemporaneo, che abbandona vecchi sistemi di tenuta costituiti da grappe e perni che spesso portavano a forare la terracotta.

Testo Antonella Galli
Foto Claudio Minghi

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