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Un tesoro fra le colline

Procedendo verso nord dalla città di Pescia si percorrere una verde vallata, la Valleriana, un paesaggio che per sua natura ha le caratteristiche sia della collina che della montagna e forse è proprio grazie a questo aspetto che fu rinominato dallo scrittore svizzero Simonde de Sismondi, “Svizzera Pesciatina”. Arroccati sulle colline lungo la valle, si affacciano dalla vegetazione piccoli paesi dalle tipiche facciate in pietra e dai tetti di un rosso mattone ormai spento dal sole e dal tempo: sono le dieci castella della Valleriana.

Fra queste si trova il borgo medievale di Castelvecchio, paese che conserva ancora oggi la sua fisionomia originale: l’antica porta del Cassero, gli stretti vicoli che si snodano fra le vecchie case ben conservate, la fontana, la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, l’oratorio del Santissimo Rosario e, in posizione defilata rispetto al centro abitato, la Pieve dei Ss. Tommaso e Ansano. Dell’insediamento urbano abbiamo notizie che si riferiscono soprattutto al Basso Medioevo; prima feudo di G. Garzoni, poi borgo conteso dai Guelfi e Ghibellini nelle guerre fra il 1355 e 1364. Castelvecchio era sicuramente un nodo centrale per la viabilità dell’epoca: a sud la valle è chiusa dalla zona paludosa di Fucecchio e quindi è solo risalendo il corso del fiume e spingendosi tra questi borghi e castelli che il viandante e il pellegrino potevano raggiungere gli Appennini, una sorta di “autostrada” per camminare all’asciutto.

La Pieve, consacrata ai SS Tommaso e Ansano ci offre uno dei più straordinari esempi di edificio romanico della Valdinievole. Ammirando la chiesa dall’esterno e respirandone l’atmosfera all’interno si percepisce come gli elementi di architettura latina si fondino con gli elementi decorativi che rimandano ad influenze lombarde.

La tradizione latina e toscanica si specchia nel classico orientamento est-ovest, nell’impianto basilicale con una scansione interna in tre navate terminanti in tre absidi e infine nella facciata. Gli elementi lombardi invece si trovano nella tipologia di arredi decorativi, sia dal punto di vista stilistico che nella tecnica scultorea.

Una volta all’interno, l’edificio si sviluppa su tre livelli: la navata, il presbiterio rialzato e la cripta. Ogni capitello si differenzia dagli altri e lo stile mostra una rigida semplificazione degli elementi. La forma dei capitelli in sé ha una sua singolarità: parte da una base cilindrica e a metà dell’altezza acquista un andamento cubico.

Scendendo nella cripta ci si immerge in quello che sembra un bosco irreale: l’ambiente segue la curva architettonica del coro e mostra cinque colonne sottili per parte. La luce entra solo da una piccola apertura monofora e crea un’atmosfera solenne che si sposa con la sacralità del luogo legato tradizionalmente a uno dei Santi cui la chiesa è titolata: S. Ansano. La leggenda vede, infatti, il Santo martire inginocchiarsi in preghiera e penitenza dialogando con il divino al di sotto della moderna grata.

Passeggiando intorno all’edificio all’esterno si è rapiti dalla ricchezza ornamentale e dalla partitura del tessuto murario ad archetti pensili, motivo caratterizzante delle pievi del territorio ma che qui a Castelvecchio ne determina marcatamente la fisionomia svolgendosi sia in facciata che sui lati in modo plastico. Gli archetti poggiano su mensole sagomate e scolpite con temi iconografici dei più svariati: geometrici/astratti, vegetali, zoomorfi ed interessanti mascheroni nella forma di teste umane o demoniache con la bocca semiaperta e gli occhi infossati, come mostri che ci fissano dall’alto.

Si può supporre un significato cristologico degli elementi zoomorfi, ma è stato anche ipotizzato un probabile legame fra la scelta iconografica delle mensole e la viabilità medievale della zona. Una possibile lettura li vedrebbe come una sorta di “segnaletica stradale”: in questo modo i viandanti potevano sapere cosa trovare nelle vicinanze e fare determinate scelte logistiche di viaggio. Potrebbe essere affascinante uno studio per determinare il significato iconografico e verificarne o meno questo aspetto topografico.

In facciata e sul retro colpisce un bassorilievo sotto il culmine della navata maggiore. Raffigura un personaggio centrale a braccia incrociate con altre due figure a cui si può dare una lettura biblica identificando il Cristo affiancato da Maria e Giovanni o dalle due Marie. Lo stile è sommario ma la particolarità sta nel significato che la tradizione popolare gli ha sempre attribuito: secondo la leggenda questo è in realtà il ricordo di un “incidente sul lavoro” costato la vita al mastro muratore e ad i suoi due figli a causa dell’interferenza demoniaca rappresentata dai mascheroni sottostanti.

Proseguendo in paese è possibile scoprire un altro tesoro: l’Oratorio del SS. Rosario, conosciuto dai paesani come il “Sepolcro”.

Varcata la soglia, scendendo alcuni scalini, si entra in un ambiente completamente decorato da un ciclo di affreschi lungo le pareti ed il soffitto a volta. Il ciclo pittorico è stato dipinto a cavallo fra Cinquecento e Seicento da un anonimo pittore e riproduce i quindici misteri del Rosario, che potevano essere contemplati dal fedele durante la preghiera.
Il racconto pittorico prende avvio dalla parete di sinistra con i primi cinque Misteri Gaudiosi e prosegue poi con i Misteri Dolorosi. Il culmine della Passione di Cristo, la Crocifissione, è dipinta sopra la mensa dell’altare così da divenire fulcro prima visivo e poi didattico dell’estremo sacrificio. Sulla parete di destra si illustrano i Misteri Gloriosi, gli ultimi cinque del Rosario.

La volta è decorata da tre scene principali, mentre lateralmente a queste si trovano riquadri con putti angelici che reggono i simboli della Passione; altri sono invece decorati con motivi a vegetali.

Sulla volta, vicino all’entrata, sono raffigurati i Santi di Castelvecchio in adorazione del calice eucaristico. È proprio l’osservazione di questa e della tecnica pittorica calate nel periodo storico che suggeriscono la dedica del ciclo anche all’esaltazione dell’Eucarestia. Il Concilio di Trento tese a riaffermare la presenza del corpo di Cristo nell’ostia; è facile quindi dedurre che le raffigurazioni all’interno siano una risposta attiva a quelli che erano i nuovi dictat. L’iconografia è strumento didattico per il fedele che può comprendere più facilmente i Misteri del Rosario.

La bellezza dell’Oratorio è esaltata dalla luce che, riflessa dai caldi colori dei dipinti, dona a quest’ambiente un aspetto aureo. Con quest’ultima immagine l’osservatore si allontana portando con se lo stupore e la consapevolezza di aver scoperto un tesoro custodito fra le colline di una valle in cui il tempo sembra essersi fermato.

 

A cura del Gruppo FAI Pistoia

Testo di Silvia Anzilotti e Beatrice Landini – Foto Nicolò Begliomini

 

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