Dialogo immaginario di un ammiratore consapevole.
– Il mese prossimo vado a Pistoia e so che Lei è di origini pistoiesi, o mi sbaglio?
– No, no: sono un pistoiese in esilio volontario da oltre quarant’anni, perchè chi ha filo da tessere lascia la provincia per la metropoli. O almeno, allora, mi pareva così.
– Perchè, si pente di essere venuto quassù da noi, al nord?
– Sono stato bene, qui: e forse lo rifarei. Ma Pistoia mi è rimasta dentro e prima o poi organizzerò il mio rimpatrio. E le dico subito che troverà una città bellissima, uno scrigno pieno di gioielli che i pistoiesi tengono chiuso, da sempre.
– Che peccato. E la ragione qual’è?
– Le ragioni: il carattere, la paura di essere invasi, una riservatezza che rasenta la scontrosità, le divisioni interne, che vengono da lontano. Non voglio parlare di un complesso di inferiorità, ma la targa Pistoia un pochino deve aver inciso: ci dicevano “guarda, è una macchina di Potenza”.
Ma è soltanto una battuta: il fatto vero è che Firenze è stata per secoli la nostra dominante e quando i Medici fanno costruire la Fortezza di Santa Barbara mettono i cannoni rivolti verso la città, non per difenderla ma per tenerla in loro balia.
– Capisco. E i pistoiesi che gente sono?
– Gentili, come ho già detto parecchio riservati, ospitali. Si troverà bene a Pistoia: quanto si fermerà?
– Non più di qualche giorno. Mi insegni tre cose da vedere, tre gioielli dello scrigno, magari perchè no tra i più nascosti.
– Volentieri; anche perchè il percorso classico qualunque guida turistica glielo potrà indicare: piazza del Duomo, il pulpito del Pisano in S. Andrea, il fregio robbiano dell’Ospedale del Ceppo. Ma c’è dell’altro, di meno conosciuto, di più intimo, di più godibile.
– Che cosa, mi dica, sto prendendo appunti.
– Piazza dell’Ortaggio, che bel singolare. Ci vada quando è deserta, quando il mercato ha levato i banchi. Non sono persiane che sbattono, sono le ali dei piccioni che vengono per vedere se c’è rimasto qualcosa per loro. Ma è l’assenza dell’uomo, una delizia da godere fino in fondo (non abbia timore, lo fanno anche i pistoiesi). La piazza della Sala, curiosa con la sua “Macelleria equina” (a cosa serve, ormai, il cavallo)…Via dei Fabbri, Via della Nave, Via di Stracceria: sembrerà un pezzo di Cina immaginaria insegne, colori, movimento quando riapriranno le botteghe. Ma Lei non si faccia distrarre: guardi il glicine.
– Il glicine?
– Si, il glicine di Piazza dell’Ortaggio, che pare salga su, fino al cielo. Bello robusto, carico di foglie e, quando è il suo tempo, di fiori. Non ce l’ha nessun’altra città al mondo, una pianta così.
– E certo, Pistoia è la città delle piante!
– Magari fosse vero; ma parliamo d’altro, se no mi viene da piangere.
– Io però Le avevo chiesto tre “location” pistoiesi: me ne deve altre due.
– Ma non mi usi codesta brutta parola: dica luogo, posto, sito; magari “allogagione”.
– Mi perdoni, in fondo sono un uomo del nord e Lei è toscano: non è una differenza da poco, in fatto di lingua avete fatto tutto voi.
– Stia a sentire: “allogagione” è la parola usata da uno studioso pistoiese per indicare il luogo dove sono sistemati i volumi che restano alla biblioteca Forteguerriana di quelli donati dal Sozòmeno.
– E chi era codesto Carneade?
– Un canonico della Cattedrale, tale Zòmino di ser Bonifazio, vissuto a cavallo fra il quattro e il cinquecento, noto col nome greco di “Sozòmeno”: lasciò in eredità all’Opera di S. Jacopo, e quindi al Comune di Pistoia, la sua biblioteca di ben 120 volumi di classici latini, storici locali, autori greci. Vada alla Forteguerriana: troverà buona accoglienza insieme con la tradizione di una cultura umanistica che affonda le sue radici nei secoli passati.
– Ci andrò senz’altro: ma ora mi suggerisca la terza “allogagione”, come la chiama Lei.
– Certo. E’ il deposito dei treni storici presso la stazione di Pistoia. Un gioiello che dovrà diventare un museo, con la tradizione ferroviaria che nasce a Pistoia fino dai primi anni del Novecento e continua ancora oggi con l’Ansaldo Breda e la Porrettana, la linea più bella del mondo a portata di mano. E lo faccia un salto fino a Bologna, in treno.
Buon viaggio!
TESTI
Gian Piero Ballotti