Oltre 90 anni, ma ancora attivo nella fattoria di Capezzana.
La realtà contadina pistoiese, ma non solo, si è persa del tutto, almeno per quanto riguarda la conduzione e la gestione di un podere. Oggi, chi lavora la terra si dedica alla coltivazione delle piante in pianura, a quella della vite e dell’ulivo in collina. Lontani i tempi di quando nei campi si vedevano piantagioni di grano, mais, panico, saggina, e nell’inverno distese di rape.
Gran parte dei poderi, fino alla metà del secolo scorso, erano di proprietà di famiglie nobili. A lavorarli i mezzadri (da mezzadria n.d.r.) con un contratto che divideva il raccolto in ugual misura: metà al contadino e metà al proprietario del fondo. A regolare e controllare, il fattore, figura che faceva sempre gl’interessi del padrone: non poteva essere altrimenti. In misura minore si contavano, sul territorio, altri contadini, padroni della terra che coltivavano, chiamati coltivatori diretti. Nel pistoiese, come in gran parte dell’Italia centro-nord, pochi erano i braccianti, operai rurali che non avevano contratto di mezzadria e non possedevano nessun terreno. Questa figura, molto diffusa al sud, era la più povera, lavoravano saltuariamente quando il padrone aveva bisogno di loro, in particolare nei mesi di preparazione del terreno e durante i raccolti.
Baldo Innocenti, 87 anni, contadino mezzadro per tutta la vita, è uno degli ultimi testimoni di quel mondo che si è perso nel tempo: «Il nostro podere era uno dei 120 della Fattoria di Capezzana di proprietà del Conte Contini Bonaccorsi, afferma Baldo, si trovava nella piana di Quarrata fra le frazioni di Casini e Caserana: una ventina di coltre, come base la Casa di Zela, oggi diventata museo. Una casa dove erano nati mio padre Torello nel 1875 e gli zii, Antonio nel 1873 e Cecco nel 1886. Eravamo una grande famiglia, in tutto 17 persone che portavano avanti il podere, con me anche il fratello Mario oggi ottantacinquenne».
Avevate una grande stalla.
«Una ventina di vitelli, due mucche di razza “chianina” che servivano per tirare l’aratro, un’altra mucca di razza “bruno alpina” per la produzione di latte, un cavallo, due maiali, anatre, luci, galline, e nel vicino lago 70 anatre germanate. Per volere del Conte, senza compenso, avevamo anche una stanza per l’allevamento del baco da seta, elusivamente per loro una decina di piante di gelso intorno casa”. Ore di lavoro…”Dalle 5 del mattino alle 10 della sera, dice ancora Baldo, per 365 giorni all’anno: mio fratello Mario un po’ meno, si alzava sempre per ultimo. Pensi, il grano lo tagliavamo tutto a mano, di notte perché faceva meno caldo».
Cosa producevate?…
«Vino rosso, bianco e vinsanto, in totale 380 barili l’anno; nei campi, grano, orzo, avena, saggina, panico, mais, e poi tanto fieno di pregio, apprezzato in tutta la Toscana, facevamo anche quattro tagli l’anno, avevamo la fortuna di potere annaffiare i prati: la qualità si chiamava, maggese, gomareccio e Pascion. Per una ventina d’anni abbiamo coltivato anche la canna da zucchero, eravamo in pieno periodo fascista, dopo il taglio la dovevamo trasportare alla stazione ferroviaria di Prato, da li partiva poi per l’industria di trasformazione».
Tanto lavoro, tante gioie, altrettanti dolori, colpa delle alluvioni.
«Tre le ricordo davvero bene, continua Baldo, sempre causate dal torrente Ombrone. Il 7 febbraio del 1951 avevamo due metri e mezzo d’acqua in casa, ci rimase fino al 1 di marzo, fortuna che la stalla era più alta delle altre stanze; il 18 febbraio del 1960 l’acqua era ancora più alta, dovemmo trasferire 30 vitelli alla Fattoria di Capezzana; infine l’alluvione del 1966, ricordata come quella di Firenze, allagata non solo la pianura pistoiese ma anche le campagne di Prato, Poggio a Caiano, Signa, Campi Bisenzio».
Con il mangiare come la mettevate, i nostri vecchi raccontano che la carne solo alla domenica, un po’ di lesso per fare il brodo…quando uno era malato.
«Avevamo un grande orto con ogni tipo di verdura, dice ancora Baldo, il pane abbondava, lo facevo con mio fratello una volta la settimana, polli e conigli si vendevano raramente, così come le uova: tolto la parte da dare al Conte il resto era tutto per noi. Inoltre una vera ricchezza era il lago con i fossi confinanti: nel primo si abbattevano anche 20 germani alla volta, la caccia era aperta da agosto ad aprile; nei fossi abbondavano pesci di ogni tipo, i più pregiati erano le tinche ed i lucci, per non parlare dei ranocchi, ne pescavamo a centinaia».
Che la tavola in casa Innocenti era sempre ricca di cibo lo sapevano tutti.
«Vero, conclude Baldo, tutti i contadini vicini si offrivano per venirci in aiuto, durante la mietitura e battitura del grano, in occasione della vendemmia, sapevano che c’era sempre da mangiare in abbondanza. Un lavoro che richiedeva tanta fatica e tempo era il taglio del fieno, fatto tutto a mano con la tipica falce fienaia, fatto essiccare e sistemato nei pagliai, a quel tempo non esistevano le presse».
Per i commercianti era prassi comprare vitelli a vista.
«Da me non riuscivano mai, era un modo per abbassare il peso di trenta o quaranta kg, era gente esperta…e furba. Da Baldo bisognava andare al peso, niente scherzi».
Oggi Baldo Innocenti con la sua famiglia ed il fratello Mario risiede lungo l’ex Statale 66 a Quarrata, si gode la meritata pensione, è ancora molto attivo, coltiva un bell’orto, tiene galline, in inverno ama stare al camino. E’ un piacere ascoltarlo, parla un perfetto italiano con la tipica calata toscana.