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La Sacrestia dei belli arredi

Così Dante Alighieri definì la Cappela di San Jacopo, dentro la Cattedrale del capoluogo.

L’altare di San Jacopo conservato nella cappella del crocefisso della cattedrale di Pistoia, fu realizzato in lamina d’argento fra il 1287 e il 1456 da orafi che in questi due secoli dettero saggio della loro valentia. Questa opera dette l’occasione a Dante di definire, nel XXIV canto dell’inferno, “la sagrestia de’ belli arredi” la cappella di San Jacopo,  che in origine lo conteneva.

La prima parte dell’altare, probabilmente, era composta da un dossale semplice, costituito da un solo ordine di tredici nicchie con immagini della Madonna e dei dodici apostoli. La cui realizzazione si è soliti attribuire all’orafo senese Pace di Valentino o per alcuni a un’ipotetica esecuzione da parte di Maestro Pace. L’altare nella sua forma attuale, però, è il prodotto di modifiche e accrescimenti, che si sono succeduti nel corso  di quei due secoli sopra citati e che ne hanno fatto un capolavoro unico al mondo.

Nel 1316, fu ordinata l’esecuzione del paliotto centrale ad Andrea di Jacopo d’Ognabene con le storie del Nuovo testamento. Nel 1352, Gilio Pisano collocò al centro del dossale la statua di S. Jacopo. Dal 1361 al 1371, furono eseguiti due paliotti laterali: quello sinistro, con le storie del Vecchio testamento, fu sbalzato e cesellato da Francesco di Niccolò e da Leonardo di ser Giovanni, orafi fiorentini; quello destro, con la vita di S. Jacopo, fu eseguita dal solo Leonardo di ser Giovanni. Nel 1381, Piero d’Arrigo Tedesco fece la predella su cui si posa il dossale e, nel 1386, le statuette dei santi nella parte anteriore delle paraste, nel 1390, infine, le figure della Madonna e dell’angelo nella parte superiore del dossale. Quindi gli orafi Nofri di Buto e Atto di Piero Braccini, realizzarono, un paradiso con Cristo benedicente, incorniciato da una mandorla e affiancato da un coro di angeli, su disegno del pistoiese Giovanni di Bartolomeo Cristiani.

L’altare di San Jacopo

Nel 1400-1401, sulla fiancata destra furono realizzati dalla bottega di Lunardo di Mazzeo e Piero di Giovanni, due busti dei profeti Isaia e Geremia, che meritano speciale attenzione perché attribuiti a Filippo Brunelleschi, al quale, da parte della critica più recente, si attribuiscono anche le statuette di S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Luca Evangelista, situate in alto della stessa fiancata. Nel 1409, vi lavorò Niccolò di ser Guglielmo autore dei restanti evangelisti, poi di seguito Piero d’Antonio da Pisa autore delle restanti decorazioni.

L’altare era in origine ornato da smalti, gemme di valore e dorature, che per le modifiche successive, le ingiurie del tempo e degli uomini (famoso il furto di alcune gemme da parte di Vanni Fucci di dantesca memoria) sono andati perduti e ne hanno senz’altro sminuito il valore decorativo.

Nonostante le varie vicissitudini (non ultima lo smontaggio dell’altare, durante  la seconda guerra mondiale, fatto per porlo al riparo dai pericoli di un eventuale bombardamento) rimane un opera di grande pregio pari o superiore a capolavori d’oreficeria del medioevo, come il dossale di S. Giovanni a Firenze, l’altare di Volvino a Milano e la pala d’oro di S. Marco a Venezia.

L’altare formato a sbalzo nella quasi totalità delle formelle e delle nicchie, è finito con raffinati smalti, dorature e inserti di pietre preziose, e appare, nel suo fulgore, come testimonianza dell’assoluta perizia degli orafi toscani, che, nel doppio loggiato gotico, palesano di essere a conoscenza delle coeve esperienze artistiche, vedi Giovanni e Andrea Pisano, per quanto riguarda Andrea d’Ognabene (La crocifissione) e dell’Orcagna, per l’opera di Leonardo di ser Giovanni. Le figure, tutte, possiedono una monumentalità così imponente che possono benissimo confrontarsi con la statuaria del periodo.

Nelle figure di profeti (Geremia e Isaia), di Brunelleschi, il grande artista crea un effetto di notevole tridimensionalità, con un’esecuzione raffinata, i corpi ben modellati che cercano dialogo con lo spazio circostante, uscendo dalle formelle quadrilobate di chiara matrice gotica. Soluzione che poi riprenderà anche nella formella del sacrificio d’Isacco per il concorso delle porte del battistero fiorentino, e già sembrano aprire a quello che sarà il Rinascimento fiorentino.

TESTI

Leonardo Begliomini

FOTO

Fabrizio Antonelli

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