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Dorati messaggeri toscani

Da Lamporecchio dolci “brigidini”, antico, delizioso trastullo.

La fama arriva in modo bizzarro, talvolta. Quella, innegabile, di Lamporecchio, località del pistoiese, nata sulle pendici del Monte Albano, ha il pregio d’essere fra le più dolci e profumate che si possano immaginare. Vi si fan “brigidini” a Lamporecchio, e da tempo immemore.

Sono sempre stati direttamente i brigidinai, grandi viaggiatori instancabili, a commercializzarli. Perché…non è da tutti maneggiare, come dev’essere fatto, quelle croccanti e friabilissime tipiche cialdine gialle. Evanescenti delizie che, prima scrocchiano allegre e poi docilissime si sciolgono subito sul palato, rilasciando un delicato aroma, che subito t’invita a ripescarne ancora, e ancora, e ancora.

Un sapiente connubio fra zucchero, uova, farina e anice, che in Toscana e dintorni hanno attratto, irresistibilmente, i golosi di ogni fiera, mercato o evento che radunasse gente. Un tempo, solo i brigidinai sapevano come non far sbriciolare il loro lieve prodotto, avvolto da una leggera protezione trasparente. Oggi, è diverso, perché le nuove tecniche di packaging, ormai, consentono spedizioni ovunque.

Ma i dolci dorati e quasi trasparenti sono sempre gli stessi, così com’è il carattere accogliente e ciarliero dei lamporecchiesi, perché anticamente, oltre ai loro prodotti, portavano sempre notizie fresche là, dove arrivavano. Sapevano trasferire insieme con i dolci sapori anche i “popolari saperi”.

Quasi doveroso utilizzare qui le parole dell’esimio Pellegrino Artusi: “E’ un dolce o, meglio, un trastullo speciale alla Toscana, ove trovasi in tutte le fiere e feste di campagna…”.

Abbiamo voluto per NATURART, conoscere da vicino le molte anime che caratterizzano le “moderne” produzioni di brigidini, sapientemente accompagnati con cortesia da Giuseppe Chiaramonte, sindaco di Lamporecchio. Scoprendo, con compiacimento, che la modernità consiste solo nella consistenza delle strutture aziendali. Cambiano forme e misure e decori, ma non la sostanza. Sia in laboratori artigianali, che si avvalgono ancora dell’utilizzo dei vecchi e preziosi strumenti, sia quando si approfitti, in più modi, delle nuove tecnologie, va precisato che «la ricetta è quella».

Potremmo anche darvi per quasi certa la sua origine, ma preferiamo lasciare un onesto dubbio sulla nascita di questa fiorente attività.

In prevalenza la ricetta viene attribuita alla creatività delle monache, seguaci di Santa Brigida, dette Brigidine. Un manoscritto, risalente al 1795, però, attesta che, per la festa di Santa Chiara, dal Monastero furono inviati ai frati Cappuccini anche brigidini.

L’unione dell’impasto per la preparazione delle ostie a ingredienti dolciari, produsse questi “chicchi”, come si usa dire da queste parti, quando si vuol definire qualche cosa di dolce, ambito, desiderato e che riporta all’infanzia.

 

TESTI

Enza Pirrera

FOTO

Nicolò Begliomini

 

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