Clemente IX e il genio del Bernini.
Scendendo da San Baronto verso Lamporecchio, il paesaggio del versante occidentale del Montalbano si dispiega terrazzato ad oliveti, punteggiato di antichi fortilizi, coloniche e dimore padronali. Fra queste emerge per imponenza, dominante il territorio, la villa Rospigliosi di Spicchio, vero fulcro di un sistema insediativo che comprende non solo l’antistante giardino all’italiana e gli annessi, ma sul retro il grande parco che digrada per dolci declivi, un tempo senza soluzione di continuità col Chiuso, riserva di caccia cinta da mura.
I Rospigliosi, nobile famiglia pistoiese proprietaria di terreni nella zona almeno dal XV secolo, accrebbero i possedimenti con un’accorta politica di acquisizioni fra Cinque e Seicento e un’altrettanto oculata gestione. Lo stesso cardinale Giulio Rospigliosi (1600-1669), colto mecenate, poeta, segretario di Stato di papa Alessandro VII, fece apportare migliorie alla ‘villa vecchia’ di Spicchio pensando forse ad un suo futuro ritiro in patria. Ma la sua ascesa al soglio di Pietro con il nome di Clemente IX (1667) impose un segno tangibile del rinnovato lustro della casata e venne così decisa la costruzione di un “Palazzo nuovo” sulla piazza di Spicchio, la cui progettazione fu affidata al Bernini.
Nel maggio 1668 venne fatto in cartapesta un modello dei luoghi da inviare a Roma. Un anno dopo la villa veniva fondata sotto la direzione di Mattia de’ Rossi, il principale collaboratore del Bernini per le opere di architettura e progettista della antistante cappella dei SS. Simone e Giuda. Clemente IX non vide finita l’opera giacché spirò nel dicembre 1669, ma per volere del fratello Camillo la costruzione fu completata nell’estate del 1670 con grande dispiego di uomini e mezzi. E proprio le insegne di Clemente IX – lo stemma Rospigliosi sormontato dal simbolo papale – ancora si stagliano sopra il portale d’ingresso.
L’edificio, costituito da un blocco centrale più alto – un tempo coronato da una balaustra con statue secondo l’uso romano – e due ali laterali avanzate, ha severe linee squadrate all’esterno, caratterizzate dall’uso dei materiali tipici della bicromia toscana, intonaco e pietra serena. Nulla lascia presagire lo sfarzo dell’interno dove dal salone passante di avvolgente linea ovale (tipicamente berniniana) si traguarda assialmente verso la cappella da un lato e dall’altro verso valle. A doppio volume con terrazzini in affaccio per i musici, è interamente affrescato da quel Ludovico Gemignani – figlio del pittore pistoiese Giacinto, protetto a Roma dallo stesso Giulio – che il futuro papa nel 1643 aveva tenuto a battesimo. Le finte architetture dilatano illusoriamente lo spazio e accentuano la sensazione di contatto con la natura; “Aurora che precede il carro del sole” sullo sfondato della volta, e le gioiose fanciulle, allegorie dei segni zodiacali fra festoni fioriti, allietano la vista e lo spirito, mentre gli stemmi dipinti celebrano le nozze romane di Giambattista, nipote del pontefice, con Maria Camilla Pallavicini.
Se il parco ha subito profonde alterazioni a seguito dei frazionamenti, della nuova viabilità e dell’espansione urbana del paese, la dimora, nonostante i vari passaggi di mano, ha conservato, almeno in parte, il fascino di una villa ‘da papi’.
TESTO
Claudia Becarelli
FOTO
Nicolò Begliomini