L’Accademia degli Armonici fondata nel 1785 e il suo teatro, la “Sala dei pesci”.
Lungo Via Curtatone e Montanara, tra Vicolo degli Armonici e Piazzetta Mergugliese, sorge la sede dell’Accademia degli Armonici, circolo ricreativo per nobili e intellettuali, fondato nel 1785. Il primo nucleo, l’ex chiesa di Sant’Anna, conosciuta come S. Niccolao (già S. Maria in Torre), viene acquistato nel 1789 per 1200 scudi e poi ampliato tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo con alcuni vani del Palazzo delle Potesterie, prospiciente Piazza dello Spirito Santo e appartenuto alla soppressa Opera di S. Jacopo.
Il nome con cui viene spesso citata, “Le Stanze”, deriva dalla sua organizzazione interna: una serie di vani tra loro comunicanti, ove veniva organizzato il gioco da tavolo o il biliardo e la lettura, sviluppati attorno ad un unico salone centrale, sede delle serate danzanti o dei saggi della Scuola di musica Mabellini, che qui ebbe la sede per alcuni anni dopo il 1850.
L’aspetto attuale dell’edificio (oggi proprietà privata e quindi non visitabile) è frutto di un restauro completo voluto dagli Accademici, secondo stilemi di gusto neoclassico.
L’antico prospetto, opera del Canonico Francesco Maria Gatteschi, era arretrato rispetto al filo stradale e aveva una scala a doppia rampa di accesso alla chiesa, posta in dislivello. Il nuovo progetto avanza il fronte, inglobando le antiche scale, e propone una facciata scandita da due livelli, il primo con alte aperture quadrate e paraste, ed il superiore con lesene ioniche che sorreggono un timpano spezzato. Conclusa nel 1842, la facciata non piace ai contemporanei ai quali “sembrava di entrare in una scuderia”. L’anno dopo viene apposto lo stemma granducale dipinto dal pittore Aurelio Machol, non più visibile. All’interno si perde ogni traccia della presenza della chiesa e vi si ricava il salone, aperto e chiuso da colonne ioniche decorate a marmorino, quattro per ogni lato corto, sormontate da una trabeazione praticabile, che porta alla zona orchestrale. Non è più presente il dipinto del “Parnasso” di Luigi Catani coronato dallo scritto virgiliano “Sic itur ad astra” (“così si sale alle stelle”), ma permangono gli stucchi, le dorature, i grandi specchi e le lumière. All’ingresso, sulla pavimentazione, e nel salone, è posto il motto dell’Accademia “Dispar et unum”, riferimento pitagorico all’equilibrio tra arte e scienza.
Il trasformato accesso su via Curtatone e Montanara, il cui soffitto è opera del pittore veneziano Fabio Casanova, diventa un ambiente di raccordo tra le sale al primo livello, attraverso doppie scalinate ellittiche in marmo, e il teatro seminterrato, raggiungibile tramite lo scalone centrale. Il teatro, denominato “Sala dei pesci”, fu costruito tra il 1920 e il 1930 con pianta a platea e palco rialzato e costituisce la prima opera di decorazione e allestimento dell’artista pistoiese Luigi Mazzei che, su incarico dell’Accademia, nel 1928 ne cura l’arredo e decora a tempera pareti, soffitto e arcoscenico con motivi ittici. Del suo lavoro rimangono solo il soffitto, i lampadari a forma di polipo, il boccascena a conchiglia e le porte laterali con bassorilievi in metallo, mentre sono andate distrutte le decorazioni alle pareti.
Il teatrino rimane attivo fino all’epoca della seconda guerra mondiale. Tra gli anni ’60 e gli anni ’80 il locale passa nelle mani di vari gestori, diventando anche discoteca e locale di musica live. Secondo testimonianze orali, proprio in questo teatro, da semplici serate blues che videro il passaggio di personalità quali Jaco Pastorius, nacque l’idea di una rassegna che poi trovò la sua attuazione nel “Blues’in”, oggi noto come “Pistoia Blues”.
TESTI
Chiara Corsini
Eleonora Maestripieri
FAI Giovani Pistoia
FOTO
Nicolò Begliomini