Ampliata su progetto dell’architetto Giovanni Michelucci.
La chiesa michelucciana di santa Maria della Spina presso Colle di Tizzana costituisce un felice esempio di introduzione del linguaggio dell’architettura contemporanea in un paesaggio stratificato storicamente e splendidamente modellato dal lavoro degli uomini attraverso i secoli: la struttura della chiesa cresce dalla ripidissima strada che conduce al minuscolo abitato di Colle e che fu trascritta dalla devozione degli abitanti in un paesaggistico percorso di Via crucis.
Il progetto di ampliamento affidato a Giovanni Michelucci modifica la trecentesca chiesa preesistente costituita da una semplicissima aula con tre altari a mensa. L’architetto pistoiese nel 1954 realizza l’innesto di un nuovo spazio, più grande, costituito da una nuova aula illuminata da una serie di aperture a feritoia, collocata in posizione ortogonale rispetto all’antica chiesa. Tutto il complesso è fasciato da un nuovo loggiato perimetrale
È grazie all’impegno del parroco di allora Egisto Ulivi e all’intervento determinante di Alessandro e Vittoria Contini Bonacossi, proprietari della vicina tenuta di Capezzana che già da tempo hanno legami di “familiarità” e consuetudine professionale con Giovanni Michelucci, che la possibilità di realizzare il progetto di ampliamento della piccola chiesetta trovò “immediata accoglienza”. In questa zona del Montalbano si devono alla committenza dei Contini Bonacossi anche altre opere di Giovanni Michelucci: la scuola elementare di Seano (1936-38) e la tinaia (1937-39) con portale monumentale annessa alla medesima villa di Capezzana.
Michelucci traccia un primo progetto d’ampliamento, poi modificato, nell’agosto 1950; con il secondo progetto il nuovo loggiato-endonartece è messo in relazione con il piazzale d’accesso disposto sul lato ovest della chiesa. La parte a est del loggiato è conclusa con l’area del battistero e costituisce un suggestivo affaccio verso la vallata, verso le colline circostanti e sul paesaggio caratterizzato dalla presenza degli oliveti, dei vigneti e dei filari dei cipressi.
La muraglia che contiene il terreno e fa da basamento alla chiesa fu realizzata grazie al lavoro volontario e appassionato della popolazione di Colle. L’apparecchio murario presenta una tessitura che ripropone l’uso tradizionale della muratura a secco, che caratterizza gli stessi terrazzamenti nella campagna circostante e che è stata modellata e ridisegnata dal lavoro dei contadini che adattavano lentamente il territorio alle esigenze delle coltivazioni, segnando così i bordi dei percorsi tra i campi e le case e anche lo spazio intorno alla chiesa.
La chiesa della Sacra Spina è una chiesa parrocchiale, ma anche la meta del pellegrinaggio che si rinnovava ogni tre anni per accogliere, nel giorno dell’Esaltazione della Croce, i devoti della reliquia “preziosa e rarissima” della Sacra Spina, appunto custodita un tempo nell’oratorio della vicina villa di Capezzana e successivamente concessa in custodia alla parrocchia nel 1920 da Sara Luisa Rothschild Franchetti, allora proprietaria di Capezzana.
La rinnovata chiesa di Santa Maria della Spina è conformata alla “semplicità primigenia, misurata e morale”, come ha notato Claudia Conforti, che si specchia nelle costruzioni tradizionali della campagna circostante, nelle case coloniche che sono costruite con materiali poveri, modellate dalle scarne esigenze della vita dei contadini. L’interno dell’aula è illuminato da una luce mite, quasi domestica ribadita dall’aspetto “quotidiano” della copertura con l’orditura di legno e gli elementi in laterizio a vista, come si trattasse di una casa qualunque.
Nel 1978 furono modificati per l’adeguamento liturgico l’altare e la recinzione presbiteriale; la mensa dell’altare maggiore fu smontata per permettere al sacerdote di celebrare rivolto verso i fedeli. Il recinto marmoreo che segnava l’area del presbiterio fu rimosso: resta traccia di questa struttura nei due gradini che segnano il luogo in cui sorgeva la parete abbattuta per realizzare il varco che mise in comunicazione l’antica navata con il nuovo spazio.
TESTO
Maria Camilla Pagnini
FOTO
Nicolò Begliomini