I grandi del teatro che hanno calcato il palco di Pistoia, dove Vittorio e Alessandro Gassmann si sono scambiati il testimone.
Qui i primi applausi, questo il posto in cui un padre importante (e ingombrante) consegna il testimone nelle mani di un figlio. Nella cornice di una città il cui ricordo si bagna di una pioggia sottile, di quelle che entrano nelle ossa “e ne passa di tempo perché si asciughino”. Non bastano questi racconti e ricordi raccolti e intimi, seppure suggestivi, a testimoniare il grande e vivo fermento di una stagione culturale che ha fatto del teatro Manzoni un vero e proprio crocevia di personaggi storici tra quelli che hanno calcato le scene dei palchi italiani. La vera svolta per quel teatro, che assume l’assetto e le sembianze che oggi vediamo dall’ultimo restauro terminato nel 1931 ad opera dell’ingegnere Luigi Manfredini (fatto salvo per gli ultimi interventi conclusi nel 1990), arriva senza dubbio alcuno negli anni ’70. Dopo una parentesi di gestione privata, il teatro passa nelle mani dello stesso Comune di Pistoia.
Il rapporto del teatro, inteso come entità precisa, con la città, divenne stretto, vitale; la voglia della gente di essere coinvolta e di essere pubblico e testimone di quella trasformazione quasi famelica. È il teatro ora che si apre al mondo, che offre spazi alle realtà locali e promuove il decentramento di attività nei circoli e nelle case del popolo. Da lì al teatro di sperimentazione, il passo è assai breve: non manca la tradizione che, certamente, il pubblico esige dal suo teatro, ma c’è anche un ampio spazio per il nuovo, per l’inedito, che qui a Pistoia trova una terra felice. Forse per quel suo essere seconda casa, spazio raccolto e calore umano, molti degli attori scelgono il Manzoni per le loro “prime” e restano in città per giorni, come se qui e solo qui si respirasse quel clima che bene si concilia con la concentrazione necessaria a calcare le scene.
“Quei fantastici Settanta”, sussurra ancora qualcuno, ricordando come il Manzoni fosse stato per i grandi Tino Buazzelli, Paolo Poli e Ugo Pagliai una seconda casa e guardando a quella elasticità mentale del pubblico forse impensata per allora che accoglieva di buon grado le sperimentazioni di De Berardinis, Carmelo Bene, Giorgio Gaber, Nanni, Kustermann, Chiari, Miccini, Cardini, Tiezzi. Sono solo alcuni dei nomi che illuminano la stagione del ’76, ricordata negli annali come la rassegna “Teatro e musica verso nuove forme espressive” che animò per cinque anni il palco dell’istituzione pistoiese. E poi gli esordi dei giovanissimi Martone, Servillo e Cauteruccio e l’esplosione nel maggio dell’Ottanta con l’“Italia-California”, suggestiva e profonda parentesi di commistione tra le due realtà teatrali che videro la partecipazione, tra gli altri, di Michelangelo Pistoletto, Celant, Kirby, Shant.
Pistoia è nel mondo. Pistoia è il mondo, e lo testimoniano le tantissime immagini che circolarono all’epoca tra pubblici di vastissima provenienza e addetti ai lavori. Vietato dimenticare l’aggancio popolare con le performance di Caterina Bueno e della Nuova Compagnia di Canto Popolare, o la straordinaria presenza di Chet Baker o la partecipazione di un Roberto Benigni defilato, all’epoca relegato quasi ai titoli di coda, tanto era sconosciuto al pubblico. Una tranquilla città di provincia che diventa oggetto dell’attenzione di riviste di settore americane ed europee, passando per le radio tedesca e svizzera e per il Frankfurter Allgemein Zeitung. Poi nel 1984 il battesimo dell’Associazione Teatrale Pistoiese che in un crescendo d’interesse collettivo non solo programma le stagioni del teatro, ma si diletta con successo nell’organizzazione di rassegne per le scuole e il pubblico giovane, oltre a dedicarsi a sue produzioni specifiche che fanno il giro del BelPaese.
“A Pistoia mio padre mi ha detto ‘bravo’ – ricorda Alessandro Gassmann –. Le maestranze avevano una dedizione dolce per mio padre, mostravano il rispetto che si deve ai grandi. A me davano affetto, capivano che la mia era una prova doppia, un salto mortale, e mi accudivano come fossi figlio loro. A volte anche un silenzio dà conforto. Un’umanità come questa è rara da trovare”. Perché Pistoia “è come il suo teatro: ha il dono dell’accoglienza. Ha capito – racconta Giulio Scarpati – che rappresentare storie è un elemento di umanità per la città e, a suo modo, ringrazia”. E da allora mai la parentesi culturale aperta dal Manzoni ha conosciuto una flessione, una parziale chiusura, una crisi di pubblico. Sarà perché, come sostiene Pagliai con l’affetto di chi questa città l’ha vissuta non solo da attore, “Pistoia è forte. È una città che si apparta, anche quando viene violentata. Ma è forte. Resiste. E il teatro con lei”.
TESTO
Linda Meoni
FOTO
Archivio Associazione
Teatrale pistoiese
Federico Riva