Un tesoro da riscoprire, edificato alla fine del 1600.
Poco a Sud di Borgo a Buggiano, in località S. Maria in Selva, si erge la villa di Bellavista, che da un colle appena rilevato domina la pianura circostante con la sua mole turrita: anche al viaggiatore più distratto, appare subito un ‘fuoriscala’ nel tessuto più minuto di campi, case coloniche e moderne villette. E’ un edificio eccezionale, come eccezionale fu la storia di Francesco Feroni (1614-1696), fondatore della fortuna familiare: di umili origini, il Feroni si era arricchito col commercio di schiavi in Olanda e lì aveva reso servigi al Gran Principe Cosimo de’ Medici, il futuro Cosimo III, che, asceso al trono granducale, gli vendette la fattoria di “Buonavista” (1673) con tutti i poderi annessi, affacciati sulle gronde occidentali del Padule di Fucecchio.
Non solo, il Granduca conferì al fedele suddito prestigiosi incarichi e nel 1681 – potere del denaro e il Feroni ne aveva tanto – il sospirato titolo di marchese ‘corredato’ addirittura di poteri feudali. Il figlio Fabio, che era stato avviato alla carriera militare, la sola che si addicesse a un aristocratico, nel 1683 prese moglie d’antico lignaggio: Costanza Lotteringhi della Stufa. Nel 1695 la famiglia Feroni venne riconosciuta “nobile di vera nobiltà generosa” ed allora si concepì il progetto – affidato al fiorentino Antonio Maria Ferri – di edificare, accanto alla fattoria, una grandiosa villa, segno tangibile del raggiunto status sociale.
Naturalmente, furono chiamati pittori di gran voga da Firenze, primo fra tutti Pier Dandini, ad affrescarne le volte, che nel salone centrale e nell’ala nord celebrano le virtù militari e cristiane di Fabio Feroni, nell’ala sud raffigurano vari soggetti mitologici, fra cui immancabili allegorie amorose.
In questa zona, infatti, il rinomato Giovan Battista Ciceri allestì l’alcova del marchese a stucchi bianchi e dorati e comunicante con la camera della marchesa. In queste stanze, come nel grande salone delle feste, le pareti si popolano illusoriamente di uccelli, vegetazione, squarci di paesaggio a deliziare la villeggiatura. Nel corso del Settecento l’infradiciamento dei poderi, i dispendiosi investimenti e una lunga causa contro gli stessi granduchi, a esso conseguenti, provocarono il declino economico dei Feroni, costretti, nel 1829, a vendere la villa e i poderi rimasti alla locale famiglia Buonaguidi. Ancora la villa fu acquistata dall’ex generale pontificio Ermanno Kanzler, che, conducendovi una vita sfarzosa, fu costretto a una nuova vendita, con dispersione degli arredi.
La proprietà passò di mano altre volte sino a essere comprata, nel 1938, dal Ministero degli Interni, che l’affidò all’Opera Nazionale Vigili del Fuoco quale colonia elioterapica. Durante la guerra ridotta a ospedale militare, prima tedesco, poi americano, la villa ha subito un progressivo degrado, soprattutto da quando nel 1968 è stata abbandonata anche dall’Istituto per Orfani di Vigili del Fuoco insediatovisi negli anni ’50 e ’60. Depredata delle grandi tele sulle pareti del salone centrale (1969), nonostante lo sforzo compiuto negli ultimi decenni, il prestigioso immobile attende ancora un restauro integrale e un’adeguata valorizzazione.
Una stampa settecentesca di Giuseppe Zocchi ci testimonia l’antico splendore del giardino col viale bordato di siepi ben squadrate, piedistalli con vasi e statue allegoriche (fra cui la Giustizia e l’Abbondanza), popolato di dame, cavalieri, villani. Percorrendolo oggi il confronto è impietoso, giacché le statue sono erose dagli agenti atmosferici, la vegetazione non è più così curata; fra l’altro alcuni residui cipressi, certo piantumati più tardi, secondo una moda otto-novecentesca, oscurano in parte la facciata della villa che si dispiega maestosa giunti nel parterre, dove ci allieta la vista una vasca d’acqua zampillante. A destra, riconosciamo la cappella, intatta, perfettamente restaurata e ancora consacrata, a sinistra la fattoria, rialzata di un piano.
TESTO
Claudia Becarelli
FOTO
Nicolò Begliomini
Lorenzo Marianeschi